Si riparte dal decreto competitività, pilastro portante del pacchetto Finanza per la crescita, e dalle misure di perfezionamento della riforma del lavoro già in rampa per uno dei prossimi Consigli dei ministri. Ma con lo sguardo alla legge di bilancio autunnale con il suo carico di interventi in chiave crescita, a partire da quelli sulla riduzione del carico fiscale per imprese e famiglie. Non si profila, almeno per il momento, uno stravolgimento dell’agenda economica di Palazzo Chigi dopo il risultato della prima tornata delle amministrative, del quale lo stesso Matteo Renzi si è dichiarato insoddisfatto.
Ma non è da escludere che il premier possa cercare di rendere ancora più marcato il solco già tracciato da mesi per proseguire in modo visibile, compatibilmente con gli spazi di finanza pubblica disponibili, con il percorso di riduzione della pressione fiscale e per dare “appeal” agli interventi in favore delle famiglie numerose. Il tutto tentando di chiudere, in vista della manovra autunnale, la partita sulla flessibilità in uscita per le pensioni. E con il nodo tutto da sciogliere dell’estensione degli 80 euro a almeno una parte dei pensionati.
Il passaggio chiave dell’agenda economica resta, dunque, la prossima legge di stabilità nella sua nuova versione post-riforma del bilancio. Che, tra l’altro, renderà obbligatoria e permanente la spending review. Alla “fase 3” della revisione della spesa sta già lavorando il commissario Yoram Gutgeld. Anche perché proprio dalla spending, dalla revisione delle tax expenditures e dai nuovi interventi di contrasto all’evasione, a partire dalla “voluntary bis”, dovrà arrivare la dote per i nuovi tagli alle tasse e per il pacchetto famiglia. Le risorse per disinnescare completamente le clausole di salvaguardia fiscali (Iva in primis) dovrebbero invece arrivare in parte dal perseguimento dell’obiettivo di deficit 2017 all’1,8% (contro l’1,1% indicato in autunno) e per la fetta residua da interventi una tantum (compresi quelli riconducibili alla lotta all’evasione). Un quadro che potrebbe cambiare nell’eventualità in cui a ottobre il Governo potesse utilizzare ulteriori margini di flessibilità per la finanza pubblica sempre con il preventivo ok di Bruxelles.
Tornando alla riduzione delle tasse, come già di fatto ribadito dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il taglio di tre punti dell’Ires sulle imprese è da considerare certo, visto anche che è già inglobato nei saldi di finanza pubblica. Questa misura sarà accompagnata da un ulteriore intervento. Due le opzioni sul tavolo: un taglio strutturale del cuneo di 4-6 punti sui nuovi assunti a tempo indeterminato o una prima sforbiciata alle aliquote Irpef, che però, senza poter contare su ulteriore flessibilità, avrebbe un impatto non superiore ai 3 miliardi. C’è poi l’incognita dell’estensione degli 80 euro ai pensionati. Anche con un intervento di tipo “selettivo”, limitato in una prima fase solo ad alcune fasce di pensionati, sarebbero necessari almeno 1,5 miliardi. Non a caso il ministro Padoan ha fatto notare che gli spazi di finanza pubblica utilizzabili non si presentano molto ampi.
Altri 500-600 milioni dovranno essere destinati al piano per rendere flessibili le uscite verso la pensione per gli over 63 (la cosiddetta Ape). Su questo fronte il Governo cercherà di trovare una soluzione il più condivisa possibile con i sindacati, pur riservandosi l’autonomia della scelta finale. Ma il confronto dovrebbe entrare nel vivo solo dopo i ballottaggi. Il piano dovrebbe entrare nella prossima «Stabilità» così come una parte del pacchetto Finanza per la crescita. Che dovrebbe comunque essere anticipato entro la fine di giugno da un decreto competitività.
Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 7 giugno 2016