L’addio all’Italia di Ilaria Capua, la veterinaria più famosa al mondo per aver sequenziato il virus dell’aviaria e aver messo i risultati dello studio a disposizione della comunità scientifica internazionale superando le rivalità di parrocchia, potrebbe essere un arrivederci. Nonostante la ricercatrice, sulla quale grava un’inchiesta per presunto traffico di virus, abbia accettato l’incarico di full professor e la direzione di un Centro di eccellenza offerti da un Ateneo della Florida, come ha scritto ieri Paolo Mieli nell’editoriale del Corriere della Sera , resta però in forza all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie.
«E’ in aspettativa — conferma il direttore generale dell’IZV, Daniele Bernardini — 15 giorni fa è venuta da me e ci siamo parlati molto chiaramente, concordando un programma di collaborazione dall’America che vada bene a entrambi. Siamo in sintonia, a me interessa il bene dell’istituto e un eventuale rientro traumatico della Capua non sarebbe stato proficuo per nessuno. Lei è strutturata da noi, può andare nel suo ufficio quando vuole e mantenere i contatti con i collaboratori anche dalla Florida. Resterà in aspettativa finchè la legge lo consente, l’inizio e la fine vanno definiti».
Finora la ricercatrice, considerata dalla rivista Usa Seed una delle cinque menti «rivoluzionarie» al mondo ed entrata in Parlamento con Monti, aveva scelto di rimanere in patria, nonostante le offerte per «espatriare» non le siano mai mancate. «Una scienziata del suo valore ha subìto amarezze che non meritava — riflette il rettore dell’Università di Padova, Rosario Rizzuto —. La perdita di Ilaria, amica e collega che stimo, è una sconfitta per il sistema Italia e il rammarico sta anche nel dispiacere con cui parte. Però nel nostro Paese, che dedica fondi esigui alla ricerca, resta un gruppo di scienziati molto competitivo sul panorama internazionale, nonostante appunto disponga di mezzi inferiori a quelli dei colleghi stranieri. Secondo Nature la produzione scientifica italiana supera quella americana. Una graduatoria basata sui lavori di maggiore impatto pone l’Ateneo di Padova al primo posto in Italia e al 21esimo in Europa, infine negli ultimi cinque anni 43 articoli usciti su Nature e Science sono di nostri ricercatori. Certo — chiude Rizzuto — spiace quando i cervelli vanno all’estero, ma ce ne sono anche di ritorno: noi ne contiamo già cinque. E a breve lanceremo un bando per docenti stranieri». «Di colleghi riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale ce ne sono tanti — conferma il professor Giorgio Palù, presidente della Società europea di Virologia — il problema è che in questo Paese la ricerca non è considerata. Tranne quando serve a far luce su qualche politico. Si investe meno dell’1% del Pil, percentuale portata a cifra tonda dalle fondazioni private, e i contributi sono a pioggia, invece di seguire il principio meritocratico. Ovvie la fughe, qui manca la cultura della scienza e non si fa niente per favorirla». Un segnale pericoloso. «Purtroppo perdiamo un’importantissima scienziata perchè evidentemente allo Zooprofilattico non ha trovato terreno fertile per la sua attività — nota il professor Mario Pietrobelli, a capo del Dipartimento di Veterinaria —. La ricerca non è nel cuore dei politici (ed è uno dei motivi della disillusione della Capua, ndr ). Il nostro Ateneo invece le riserva estrema attenzione e da anni le dedica una buona parte del bilancio, che però a fronte dei soldi stanziati da altri Stati sono sempre briciole. Facciamo salti mortali per farci bastare le risorse disponibili e soprattutto per promuovere l’attività dei giovani. Altrimenti scapperanno anche loro. Già tanti veterinari se ne vanno».
Il Corriere del Veneto – 31 maggio 2016