Non solo Pfas. Il Veneto è la terza regione, dopo Lazio e Sicilia, per contaminazione da pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee. Lo rivela il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque» curato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che ha raccolto ed elaborato i dati relativi al monitoraggio del territorio inviati dalle Regioni.
Il dossier, curato da Pietro Paris ed Emanuela Pace che hanno analizzato 29.220 campioni e cercato 365 sostanze, sottolinea: «In alcune regioni la contaminazione è molto più diffusa, arrivando a interessare oltre il 70% dei punti delle acque superficiali in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, con punte del 90% in Toscana e del 95% in Umbria. Sono state trovate 224 sostanze diverse, contro le 175 del 2012: le più diffuse sono gli erbicidi, ma è aumentata notevolmente anche la presenza di fungicidi e insetticidi. La frequenza di pesticidi dal 2003 al 2014 nelle acque superficiali è aumentata del 20%, in quelle sotterranee del 10%».
Dal report si evince poi che la contaminazione è più diffusa nella pianura padana, per le sue caratteristiche idrologiche, per l’intenso utilizzo agricolo ma anche per una maggiore completezza del monitoraggio. In quest’area si concentra infatti il 60% dei punti esaminati in tutta Italia, mentre altre Regioni non hanno nemmeno inviato i dati. Se però l’Istat certifica dal 2001 al 2014 un calo del 12% nelle vendite di fitosanitari, del 22,2% dei principi attivi e del 30,9% di prodotti tossici, il Veneto va in controtendenza. La media nazionale di vendite è di 4,6 chili per ettaro di superficie agricola utilizzata, mentre qui superano i 10 chili. Ed è il valore più alto del Paese, insieme agli 8,5 chili della Campania e ai 7,6 di Emilia e Friuli. «Va però ricordato che il Veneto è uno dei territori più virtuosi per il monitoraggio — dice De Pace — ed è uno dei motivi per cui risulta maggiormente contaminato. Altrove la ricerca non si fa proprio o non in modo così completo. Noi cerchiamo i fitosanitari, utilizzati per la protezione delle piante e la conservazione dei vegetali, e i biocidi, cioè disinfettanti, preservanti, pesticidi per uso non agricolo. Non trattiamo sostanze chimiche di uso industriale».
Nel Veneto la rete di monitoraggio comprende 155 punti delle acque superficiali e 232 di quelle sotterranee, per un totale di 1216 campioni e 56.909 misure analitiche. Il numero di sostanze cercate, 99, è «abbondantemente sopra la media nazionale», ma non comprende quelle immesse sul mercato negli ultimi anni. Nelle acque superficiali sono state individuate 42 sostanze: ci sono residui nel 74,8% dei punti al vaglio e nel 53,4% dei campioni. Nelle acque sotterranee si riscontrano 13 pesticidi, con residui nel 29,7% dei punti esaminati e nel 22,2% dei campioni. «Gli erbicidi usati come diserbanti soprattutto nella coltura del mais sono tra i principali inquinanti delle acque nell’area padano-veneta — si legge nel Rapporto Ispra — con una presenza continua nel tempo. Il livello di contaminazione è superiore ai limiti di qualità ambientale per 37 punti delle acque superficiali (cioè il 23,9%) e 3 delle sotterranee (1,3%)». Ma quali sono le ricadute sulla salute e sull’ambiente? «Si sta passando ad un’agricoltura più rispettosa dell’uomo e dell’ambiente — assicura De Pace — i prodotti più tossici sono stati tolti dal mercato e sostituiti con altri meno impattanti. Ora il problema è la miscela di più sostanze, di cui non si conoscono ancora gli effetti. Per di più l’ambiente deve ancora smaltire i singoli composti: per esempio l’Atrazina, erbicida degli anni ‘80 bandito dal 1990, è ancora presente nelle acque. In quelle sotterranee i pesticidi sono più persistenti, difficilmente scompaiono e possono essere un pericolo per i pesci, per gli animali da allevamento che bevono l’acqua inquinata e per l’uomo che si nutre di entrambi. Non è prevista una bonifica, ma ci sono leggi che riducono l’uso agricolo di sostanze tossiche».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 10 maggio 2016