Sì al piano economico del governo per i prossimi anni, ma con la richiesta di maggiore attenzione a famiglie, imprese e pensioni. Camera e Senato hanno approvato ieri le risoluzioni di maggioranza sul Def, il Documento di economia e finanza. Nelle risoluzioni si elencano una serie di suggerimenti al governo che tuttavia non sono vincolanti.
Sulla flessibilità in uscita, cioè la possibilità di andare in pensione prima, si propongono «interventi selettivi» con «la previsione di ragionevoli penalizzazioni», in linea con quanto sta studiando il governo in vista delle decisioni che verranno prese a ottobre con la legge di Bilancio per il 2017.
Ieri, con un’intervista al Messaggero , il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, ha confermato che non c’è spazio per ipotesi generalizzate di flessibilità in uscita, perché costerebbero tra i 5 e i 7 miliardi l’anno, mentre si sta ragionando sull’ipotesi del «prestito previdenziale» assistito da banche e assicurazioni, che si articolerebbe con modalità diverse su platee selezionate di lavoratori. Il prestito previdenziale è quel meccanismo che consentirebbe, a chi si trova a qualche anno dalla pensione, di prendere un anticipo dell’assegno (che sarebbe più basso di quello pieno perché scatterebbero le penalizzazioni) sotto forma di prestito da restituire in piccole rate trattenute dal momento in cui decorre la pensione normale. Secondo Nannicini bisogna distinguere tre categorie. Coloro che vogliono andare in pensione prima, i quali dovrebbero sopportare in pieno il costo delle penalizzazioni (si ragiona sul 3-4% per ogni anno di anticipo). I lavoratori espulsi dalle aziende in crisi e che rischierebbero di finire esodati (senza stipendio e senza pensione) ai quali «la penalizzazione gliela paga in buona parte lo Stato». Infine, i lavoratori spinti dalle aziende ad andare in prepensionamento: qui dovrebbero essere i datori di lavoro «a coprire i costi dell’anticipo». In questo schema lo Stato si farebbe carico dei costi per remunerare le banche che erogherebbero l’anticipo di pensione sotto forma di prestito e le assicurazioni che garantirebbero dal rischio di morte prematura del pensionato. Qualche costo in più ci sarebbe per i lavoratori delle aziende in crisi, ma inferiore a quello delle «salvaguardie» per gli esodati.
L’ipotesi del prestito previdenziale viene però bocciata dai sindacati. «Trovo sia un follia — dice il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini —. Se uno ha versato contributi per 40-41 anni che prestito dovrebbe fare? Ha già prestato abbastanza soldi lui. Quindi non ci facciamo prendere per il c…: la dico proprio secca». Il Parlamento ha anche approvato il rinvio del pareggio strutturale di bilancio al 2019, necessario, dice il governo, a sostenere la crescita del Pil.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 28 aprile 2016