La giornalista Sabrina Scampini nel libro “Perché le donne valgono, anche se guadagnano meno degli uomini” (Cairo editore) fa il punto sulla situazione in Italia per le lavoratrici tra la gestione della casa, la cura dei figli e la carriera
“Mancano 118 anni al giorno in cui uomini e donne raggiungeranno la parità. È un po’ come sapere che nel 2550 si potrà vivere per sempre in un’altra galassia”. Inizia così, senza lasciare spazio a false illusioni sul presente, il libro di Sabrina Scampini, “Perché le donne valgono, anche se guadagnano meno degli uomini”, pubblicato da Cairo editore. In poco meno di 200 pagine, la giornalista, autrice e conduttrice televisiva fa il punto sulla situazione di disparità delle donne italiane nella gestione della casa, nella cura dei figli e nel mondo del lavoro. “In Italia, meno del 47 per cento delle donne ha un impiego retribuito, contro il 65 per cento degli uomini. In Europa il rapporto è 63 e 75. Non ci sono solo poche donne occupate rispetto agli uomini, ma quando lavorano lo fanno molto meno: il part-time non è un trattamento di favore, bensì uno strumento di discriminazione. Inoltre, se consideriamo il compenso totale, una donna prende 0,47 euro per ogni euro guadagnato da un uomo”.
Il grande nemico della parità di genere, spiega Scampini, “è la cultura dominante: una concezione maschilista della gestione della casa, della famiglia, dei ruoli nella coppia e nel lavoro”. Basta pensare alle polemiche delle scorse settimane su Giorgia Meloni, candidata alla guida di Roma per Fratelli d’Italia e la Lega Nord. Il fatto che Meloni sia incinta dovrebbe essere annoverato tra le questioni private, così come accade per gli uomini, e non dovrebbe essere considerato un ostacolo a ricoprire un ruolo istituzionale.
Il confronto con il resto del mondo evidenzia ulteriormente l’arretratezza italiana. “Su 145 Paesi, siamo 111esimi nella classifica per quanto riguarda la partecipazione economica. Siamo i peggiori tra i Paesi sviluppati e non è semplice cambiare la situazione: la possibilità per una donna di migliorare la sua posizione lavorativa e conquistare posti di comando raggiunge nella classifica il livello di 3,5 su un minimo di 1 e un massimo di 7. Per una donna è ancora difficile avere ruoli di leadership: sono solo il 29 per cento tra i dirigenti, mentre gli uomini sono il 71 per cento. La questione non si riferisce solo alla differenza tra i salari: qui si parla di libertà, perché a questo conduce l’indipendenza economica. Una persona è libera se può scegliere di vivere da sola, pagarsi le bollette e provvedere a se stessa e ai propri figli”.
Scampini, che ha lavorato per diversi programmi tra i quali Matrix e Quarto grado, ha provato sulla propria pelle le conseguenze della disparità da quando è diventata madre. “Un’esperienza meravigliosa, ma anche terribilmente complicata se si vuole continuare a lavorare. Perché quando un bambino sta male è sempre la madre a stare a casa dal lavoro? Con 3 figli, in Svezia lavora il 76 per cento delle madri, in Italia il 35. Se il 30 per cento delle donne italiane occupate lascia il lavoro dopo la gravidanza, vuol dire che non si tratta di pochi casi isolati, ma di un fenomeno preoccupante. Deve fare riflettere che negli ultimi 2 anni sono state licenziate o costrette a dimettersi 800mila donne e almeno 350 mila sono state discriminate per via della maternità”.
Come racconta la giornalista Bianca Berlinguer, tra le donne intervistate nel libro (oltre a lei Samantha Cristoforetti, Gina Nieri e Roberta Pinotti), chi riesce a portare avanti la carriera, deve affrontare i pregiudizi ancora forti sulla leadership femminile perché “per un uomo è complicato accettare che sia una donna a comandare”. Una difficoltà che vale anche per il mondo della politica: da quando le donne hanno ottenuto il diritto al voto nel 1946, solo in 23 hanno ricoperto incarichi istituzionali importanti. “Questa legislatura ha la presenza femminile in Parlamento più alta mai raggiunta. Un grande successo? Niente affatto. Se analizziamo la composizione del Parlamento, la percentuale scende dal 30 al 16 per cento per i ruoli più importanti. Gli uomini continuano ad avere il 79 per cento degli incarichi istituzionali. Chi sta peggio sono i comuni: solo il 13 per cento è amministrato da donne e c’è una sola donna sindaco di capoluogo di regione”.
Il Fatto quotidiano – 18 aprile 2016