Pier Carlo Padoan, a pochi giorni dal varo del Def (Documento economia e finanza) previsto per venerdì prossimo, apre la strada alla revisione al ribasso delle stime del Pil per il 2016 e, probabilmente, per il 2017. «La crescita è forte, ma meno di quanto si poteva immaginare qualche mese fa», ha detto ieri il ministro dell’Economia e ha annunciato «nuovi strumenti favore delle imprese ». Il pacchetto riguarderà il rafforzamento di quattro filoni: internazionalizzazione, imposte sulla ricerca, dimensioni aziendali e agevolazioni per quotarsi in Borsa.
Ancora da definire il quadro macroeconomico. Con tutta probabilità la crescita di quest’anno scenderà dall’1,6 per cento previsto dal governo all’1,2-1,3 che oggi è il limite alto della forchetta delle previsioni di consenso. Il deficit-Pil dovrebbe essere bloccato al 2,3-2,4 per cento con l’aggiustamento amministrativo di circa lo 0,15 (voluntary, Fondo di politica economica) da realizzare con l’assestamento di bilancio di giugno, quando sarà già arrivato il verdetto di Bruxelles che potrebbe concedere la flessibilità di 0,75-0,80 punti, considerando che Francia, Spagna e Portogallo sono ampiamente sopra il 3 per cento.
Resta aperta la questione del 2017. La crescita era fissata, in base alla stima di autunno, all’1,6 per cento: si ridurrà all’1,1-1,2, come pure il tasso d’inflazione sarà più contenuto. Soprattutto dopo l’invito alla «prudenza» dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb).
Quanto al deficit-Pil il Def dello scorso anno imponeva per l’anno prossimo, seguendo il piano di rientro verso l’obiettivo di medio termine, una riduzione all’1,1 per cento. Se si vorrà disinnescare la clausola di salvaguardia da 15 miliardi per evitare l’aumento di Iva e accise si arriverà intorno al 1,9-2 per cento. E questa sembra l’intenzione del governo, che tuttavia dovrà trovare le risorse: in prima battuta chiederà nuova flessibilità che però l’Upb e la stessa Commissione non ritengono rinnovabile ogni anno. Dunque si dovranno trovare coperture. Naturalmente in cantiere c’è la spending review e torna anche alla ribalta il taglio delle agevolazioni fiscali (è stata avviata una commissione di lavoro nei giorni scorsi).
Poco si potrà contare invece sulla revisione del metodo di calcolo del deficit strutturale: ieri la Commissione ha risposto “no” all’appello degli otto ministri europei, capeggiati da Padoan, mentre non è escluso un raddoppio a quattro anni della stima degli output gap che consentirebbe, vista la congiuntura positiva al 2019, di aumentare i Pil potenziali e dunque lo sconto sui deficit.
Repubblica – 2 aprile 2016