Una crescita ridotta all’1,3% per l’anno in corso e un deficit/Pil attorno al 2,3%, circa due decimali sotto le stime d’inverno della Commissione europea, grazie a un aggiustamento amministrativo di 3 miliardi. È attorno a queste cifre che il Governo sta per chiudere il Documento di economia e finanza (Def) in vista dell’approvazione attesa entro il 10 aprile.
Questa settimana il nuovo quadro macroeconomico dovrebbe essere validato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, mentre i tecnici dell’Economia stanno chiudendo i quadri programmatici del documento che sarà accompagnato dal Programma nazionale di riforme (Pnr). Oltre all’incognita sulla crescita in termini reali, necessariamente al ribasso sia rispetto alle vecchie previsioni di settembre (il Governo puntava su un +1,6%) sia alla luce delle ultime stime (da Fitch a Prometeia non si va oltre l’1%), l’altra grande incertezza riguarda il deflattore del Pil e di conseguenza il valore dell’inflazione. L’Istat sulla base dei dati di febbraio parla di un’inflazione acquisita per il 2016 pari a -0,6% mentre nelle previsioni di Bruxelles, con un Pil in crescita dell’1,4% si dovrebbe chiudere su una variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo in positivo dello 0,3%. Da questa stima dipende il valore della variazione del Pil nominale, il denominatore cruciale per l’andamento del rapporto debito/Pil. Centrare perlomeno il 132,4% previsto nelle winter forecast della Commissione Ue significherebbe aver garantito lo “scollinamento” rispetto al 132,6% del 2015, anche se si dovrebbe fare di più per rispettare la regola del debito. Il Def e il Pnr potrebbero contenere nuove indicazioni sul fronte delle privatizzazioni da realizzare in corso d’anno (si parla ora di una nuova tranche per Poste) anche se la prospettiva resterà molto critica per il 2017, nonostante gli aiuti assicurati dai bassi tassi d’interesse e il programma di Qe allargato della Bce.
Tornando all’aggiustamento che accompagnerà il Def, si diceva che l’obiettivo è centrare un deficit/Pil al 2,3% quest’anno. La correzione amministrativa, che si potrebbe realizzare a giugno, in occasione del varo del disegno di legge di assestamento, potrebbe partire da alcune regolazioni contabili sulla spesa, mentre sul fronte delle entrate potrebbe arrivare dal risultato definitivo della voluntary disclosure, stimata in quasi 4 miliardi a fronte di una clausola di salvaguardia di 2 miliardi di maggiori accise che si sarebbe attivata il 1° maggio prossimo in caso di «disallineamento dall’obiettivo». Un maggior gettito “una tantum” varrebbe per correggere il deficit nominale ma non quello strutturale, dato in crescita dello 0,7% dalla Commissione.
Ulteriori minori spese la correzione senza manovra le potrebbe garantire sospendendo alcune voci previste nel famoso emendamento «sicurezza e cultura» che il governo ha inserito in Stabilità con l’aggiuntiva clausola di flessibilità ancora sub iudice dello 0,2%. Si potrebbero in questo caso riprogrammare gli interventi sulle periferie urbane (500 milioni) o de-finanziare gli interventi ipotizzati sul capitolo Difesa (altri 500 milioni), mantenendo invece gli obiettivi più politicamente sensibili del bonus da 500 euro ai 18enni (300 milioni) o gli 80 euro al mese per il comparto Sicurezza. E sempre sul fronte delle uscite un ulteriore “soccorso” potrebbe venire dalla minore spesa per interessi sul debito rispetto alle previsioni della Nota di aggiornamento al Def di sei mesi fa. Vale ricordare che anche dalla valutazione su questo aggiustamento dipende l’atteso responso di maggio sull’insieme delle clausole di flessibilità richieste (riforme, investimenti, emergenza migranti).
Con un’impostazione di correzione soft di questo tipo per il Governo il problema non sarebbe più sull’anno in corso ma, come detto, sul 2017. Secondo autorevoli esponenti del Governo (il viceministro Enrico Morando e il commissario alla spending review, Yoram Gutgeld) anche per il 2017 si potrà optare per una flessibilità di bilancio, quantomeno per la spesa per investimenti. Ma anche immaginando un deficit/Pil al 2,2-2,3% nel 2017, in linea con quello del 2016, quasi per intero servirebbe per disinnescare la clausola sull’Iva e le accise.
Davide Colombo – Il Sole 24 Ore – 27 marzo 2016