Regione che vai, prelievo che trovi: 20 diversi livelli nella Penisola. Violato l’articolo 32 della Costituzione. Dal 2010 al 2014 balzelli cresciuti di un terzo: totale 2,9 miliardi. Bolzano spende 570 euro in più di Napoli, a persona, dove gli assistiti hanno il ticket medio più alto della Penisola
di Sergio Rizzo. Che i ticket sanitari abbiano raggiunto livelli record lo toccano con mano tutti (o quasi) i cittadini italiani. Scoprire che dal 2010 al 2014 il «prelievo per compartecipazioni alla spesa sanitaria», come viene definito in burocratese, è aumentato del 33 per cento toccando l’astronomica cifra di 2 miliardi 954 milioni, fa comunque una certa impressione. Soprattutto alla luce del fatto che gli enti territoriali dove la sanità è più economicamente scassata, e applicano di conseguenza i ticket più cari, offrono una qualità delle prestazioni nettamente inferiore. Basta dire che nelle Regioni soggette ai cosiddetti piani di rientro dai deficit sanitari la percentuale di utenti insoddisfatti sfiora il 20 per cento (19,7, per l’esattezza), contro il 12,4 per cento di quelle in equilibrio economico. Quindi non solo il rientro è a carico del paziente, ma si traduce anche in servizi peggiori.
Più i servizi sono scadenti più costano
Niente di nuovo sotto il sole. E’ la solita storia italiana: più i servizi sono scadenti, più costano. Se non fosse che questi dati, contenuti in un rapporto dell’ufficio studi della Confartigianato, mettono seriamente in crisi uno dei principi fondanti della nostra democrazia. Quello stabilito dall’articolo 32 della Costituzione, secondo cui «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Perché evidentemente in Italia ci sono almeno 20 livelli diversi con cui questo diritto fondamentale viene tutelato: uno per ogni Regione.
Addizionale Irpef per coprire il disavanzo
Prendiamo i cosiddetti servizi alberghieri degli ospedali. Nelle sei Regioni che sono state assoggettate al piano di rientro «pieno» (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise e Sicilia), la spesa per mensa, lavanderia e pulizia supera del 13 per cento quella delle Regioni dove la sanità è in equilibrio economico. E nonostante ciò il numero degli utenti insoddisfatti del vitto e dell’igiene tocca il 34,6 per cento, a fronte del 19,3. Il maggior costo si trasferisce inevitabilmente sui contribuenti, che nelle Regioni in disavanzo pagano un’addizionale Irpef mediamente superiore di 77 euro l’anno. Per non parlare del peso fiscale sulle imprese.
Tartassati dal Fisco e costretti a pagare medici privati
Lamenta il presidente dell’organizzazione degli artigiani Giorgio Merletti: «Da contribuenti dobbiamo pagare più tasse per risanare i bilanci in rosso della sanità regionale, da pazienti subiamo le inefficienze dei servizi e dobbiamo sborsare altri soldi per ricorrere alle prestazioni di altre Regioni o per ottenere cure dignitose dal privato». Dice poi davvero tutto a proposito delle differenze, in qualche caso addirittura abissali, con le quali il diritto alla salute viene garantito ai nostri concittadini, il confronto fra la spesa sanitaria procapite. Che amplifica ancora di più un’anomalia istituzionale alla quale nemmeno la riforma della Costituzione messa in campo dal governo di Matteo Renzi ha posto rimedio.
I «buchi» concessi dallo statuto speciale
Fra le Regioni più generose ci sono infatti quelle a statuto speciale, anche perché esentate dal monitoraggio statale sulla spesa sanitaria. Il motivo? Siccome la sanità è finanziata formalmente dal bilancio regionale, lo Stato non può metterci bocca. Con il risultato che tutte queste Regioni, con la sola eccezione della Sicilia per cui c’è una compartecipazione statale nella spesa, possono tranquillamente chiudere i bilanci in disavanzo senza doversi assoggettare come quelle ordinarie a piani di rientro. Nel 2013 la Sardegna ha registrato un buco di 379,6 milioni, ovvero 231 euro per ogni abitante. La provincia autonoma di Bolzano accusava invece un passivo di 184 milioni, 362 euro procapite. Mentre il deficit del Trentino raggiungeva 218 milioni, 411 euro a residente. E nella piccolissima Valle D’Aosta il rosso di 53,1 milioni significava un buco di 415 euro per ciascun valdostano. Non a caso la provincia di Bolzano è l’ente territoriale dove la spesa sanitaria corrente è più elevata in assoluto: 2.232 euro l’anno, calcola lo studio della Confartigianato. Al secondo posto c’è la provincia di Trento, con 2.160 euro. Al terzo il Molise, che nel 2013 era in testa ai disavanzi regionali, con 2093 euro. Subito seguito, però, dalla Valle D’Aosta con 2.082. Appena dietro, Friuli-Venezia Giulia (1.953) e Sardegna (1.944).
I record negativo della Campania
Le Regioni autonome spendono in media 288 euro per abitante in più rispetto a quelle prive di statuto speciale. Ma fra la provincia di Bolzano, in testa alla graduatoria, e la Campania, che occupa l’ultima posizione, si spalanca un autentico abisso: 2.232 euro contro 1.662 significa una differenza di 570 euro. Per la salute di ogni cittadino campano lo Stato spende dunque il 25 per cento in meno di quello che il medesimo Stato (perché anche la provincia di Bolzano ne fa parte) spende per la salute di ogni altoatesino. E in Campania i ticket sanitari incidono per l’11,9 per cento sulla spesa delle famiglie per la sanità: il livello massimo in Italia, quasi il doppio rispetto al 6,4 per cento della provincia di Trento, al 6,5 per cento del Friuli-Venezia Giulia e al 6,9 della Valle d’Aosta.
Corriere.it – 16 marzo 2016