Gira e rigira si torna sempre lì. A quei project financing che sono stati un po’ la croce e la delizia delle grandi opere pubbliche dell’ultimo decennio, soprattutto in Veneto. Il procuratore regionale della Corte dei Conti Carmine Scarano, nella relazione che leggerà oggi all’inaugurazione dell’anno giudiziario contabile, parte da due casi concreti: quello della Pedemontana Veneta e del suo lungo e travagliato iter e quello del «contratto capestro» del Progetto integrato Fusina, sui cui rischi il Corriere del Veneto ha acceso i riflettore alcune settimane fa, denunciando l’ipotesi che la Regione possa trovarsi con un «buco» di 320 milioni di euro.
«C’è un aspetto patologico – dice Scarano – non vi è stato un adeguato uso delle risorse e non si è raggiunto il risultato previsto a vantaggio della comunità». I costi crescono, soprattutto quelli a carico della parte pubblica (sia nella Pedemontana, che nel Pif), e tutto questo anche senza che poi si debba incorrere in un vero e proprio «danno erariale» sanzionabile. «L’esecuzione di grandi opere con il contributo del privato è tanto necessaria quanto, allo stato, di complessa e difficile realizzazione in termini fisiologici – è la chiosa del procuratore – C’è una problematica strutturale e generale». Scarano mette nel mirino anche l’uso, a volte poco accorto, dei fondi europei, citando il caso della centrale a biomasse di Conselve, finita nel mirino della Corte per un maxi-danno di 10 milioni.
Tante le altre fattispecie su cui si è dovuta concentrare la procura. In particolare Scarano mette in luce il problema dei medici, con una crescita di fascicoli che riguardano una violazione del rapporto esclusivo con il settore pubblico. Ci sono medici di base o guardie mediche «pizzicate» a svolgere attività libero-professionale in studi privati, idem per medici ospedalieri e anche infermieri. «La latitanza, l’inadeguatezza e l’inefficienza delle strutture di controllo impongono un intervento giurisdizionale ex post della Corte dei Conti», sottolinea Scarano, con tono critico. Altri fascicoli sono stati aperti sulla nomina di dirigenti che non avevano titoli, per esempio perché privi di laurea. Scarano cita alcune Ater, che hanno previsto nello Statuto dei requisiti «al ribasso», che però «portano a una assoluta discrezionalità nell’attribuzione del ruolo».
Scarano si toglie infine qualche sassolino sul Mose. Sono passati ormai quasi due anni dagli arresti del 4 giugno 2014, ma ancora c’è qualcuno che dice che «la Corte dei Conti non ha fatto nulla», o che comunque è stata inefficace nei controlli. Il magistrato spiega però che la Corte ha le armi spuntate, anche per colpa del legislatore: la sezione di controllo (quella della famosa delibera del 2009, che aveva individuato numerose criticità nel sistema del Consorzio Venezia Nuova) ha ampi margini di esame, ma nessun tipo di arma, perché le sue relazioni sono prive di sanzioni e vengono solo trasmesse agli enti pubblici coinvolti; la procura può invece solo agire su notizie di reato ben delineate, senza la possibilità di svolgere indagini ad ampio raggio. «Nessuno di quei rilievi del 2009 era idoneo a configurare ipotesi di danno erariale – dice Scarano – trattandosi di condizioni accordate al concessionario da un legislatore a dir poco troppo generoso». Sarebbero stati i «palazzi che contano a Roma» a dover fare qualcosa. L’ultima stoccata pare per Raffaele Cantone (pur non citato), presidente dell’Anac. Scarano ricorda che l’Italia, nelle emergenze, si affida sempre all’«uomo forte» e ad authorities «che hanno innescato una burocratizzazione del sistema, che ha prodotto procedure perlopiù inutili o inefficaci». E infatti cita proprio le norme anticorruzione sulla rotazione del personale, spesso impossibile nei piccoli comuni. «E’ preferibile affinare e migliorare il sistema di controlli esistente oppure inventare ogni volta qualcosa di nuovo che quasi mai funziona?». Oggi, nel dibattito, forse qualcuno gli risponderà.
Il Corriere del Veneto – 3 marzo 2016