“Sarebbe dovuto nascere il giorno dell’Immacolata, a Verona. Non ne ha avuto il tempo: Zika è stato più veloce”. Lo racconta Sofia, italiana trasferitasi per un periodo in Brasile, a Natal, in un’intervista a Repubblica. “A marzo ho scoperto di essere incinta. Un inizio di gravidanza difficile ma normale. Fino a quando non sono arrivate quelle bolle. Una mattina me le sono trovate su tutto il corpo. Ero all’inizio del terzo mese, mi sono spaventata”, racconta la donna.
“Ho chiamato la mia ginecologa di Natal. Al telefono mi ha detto: ‘Stai tranquilla, dovrebbe essere il nuovo virus, si chiama Zika’. Dopo tre giorni era scomparso tutto, sono tornata alla normalità”.
“Dalle visite successive ho scoperto che era un maschio. ‘Va tutto bene’, mi dicevano i medici durante i controlli. L’ho chiamato Pietro da subito”, prosegue la donna. Ad agosto, tornata in Italia, è arrivato il primo allarme per la crescita sotto la media del feto. Poi a settembre una risonanza magnetica ha evidenziato che “il suo cervello era pieno di cisti. Era come se un tarlo si fosse mangiato i suoi tessuti. Mi hanno spiegato che non avrebbe potuto vedere, sentire. E nemmeno parlare”.
A quel punto i medici “non hanno deciso niente. Mi hanno lasciata sola. Domandavo se il mio bambino sarebbe stato un vegetale, se aveva speranze di vita. Nessuno si sbilanciava. Ma mi hanno fatto capire che sarebbe stato meglio abortire. A quel punto però ero al settimo mese. ‘In Italia non possiamo’, hanno detto. Poi, quasi di nascosto, mi hanno dato un foglio con l’indirizzo del Centro clinico universitario di Lubiana, in Slovenia”, dice Sofia.
“Quando sono arrivata, il 12 ottobre, è stata istituita una commissione medica per me. In Italia, niente di tutto questo. Ma si sono accorti che Pietro nel frattempo aveva smesso di muoversi. Sono stata indotta al parto il 15 ottobre, il suo cuore non batteva più. I suoi tessuti li ho donati alla ricerca.Un mese più tardi mi hanno mandato risultati dell’autopsia: nel suo cervello hanno trovato, per la prima volta in Europa, il virus Zika”. (Huffington post – 20 febbraio 2016)
Giovane veronese malata di Zyka abortisce in Slovenia dopo le cure. E a Vicenza nuovo caso sospetto
Quando i radiologi videro per primi quell’«alterazione» nel corpo del bambino che portava in grembo, il virus Zika era ancora sconosciuto in Occidente.
In Sudamerica, dove lei aveva vissuto per cinque anni, dove si era sposata e aveva scoperto di essere incinta, era una novità ancora poco temuta: un fastidio di qualche giorno e poi passa. Quello individuato a Verona più che il primo caso in Italia, è un caso di Zika prima ancora che si potessero scoprire i reali pericoli del virus. La ragazza che l’ha contratto, una ventiseienne di Peschiera, si trovava a Natal, nell’estremità orientale del Brasile. Era giugno, e lei era al terzo mese.Il figlio di Sofia, questo il nome della donna, che ha raccontato la sua storia a Repubblica , non è mai nato: l’interruzione di gravidanza, tramite parto indotto, è avvenuta a ottobre, in un ospedale di Lubiana, Slovenia. Nei mesi precedenti, una volta rientrata nella sua città natale, è stata presa in cura prima in un ospedale vicino a casa, poi dall’unità di Ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Borgo Trento. È lì che ha avuto una prima risposta a quanto avevano osservato i medici nel corso delle ecografie di rito: esami che avevano fatto segnalare il suo caso come «gravidanza a rischio».
«Abbiamo subito intuito – spiega Massimo Franchi, direttore dell’unità e medico che ha seguito il caso – che si trattava di un’infezione virale. Tant’è vero che esattamente lo stesso giorno in cui abbiamo visto la donna, a metà settembre, abbiamo disposto delle verifiche controllando tutti i virus tropicali noti che avrebbero potuto portare quelle conseguenze».
Un’anamnesi resa possibile grazie alle dichiarazioni della stessa donna, che aveva raccontato di aver contratto una malattia specificandone i sintomi, tra cui la comparsa di bolle sul corpo.
«È nota – prosegue Franchi – l’associazione tra alcune malattie virali del gruppo flavivirus, tra cui la Dengue la Chikungunya e alcune patologie cerebrali nell’adulto, quindi potenzialmente anche nel feto». Ma il virus Zika, invece, non funziona così: nell’adulto si manifesta come una leggera febbre accompagnata da eruzioni cutanee, talvolta mal di testa e congiuntivite. È il feto, nel caso di donne in gravidanza, a subire i danni maggiori. In Brasile e altri stati dell’America centrale e meridionale, dove è in corso una vera e propria epidemia, i casi di microcefalia tra i nuovi nati sono aumentati esponenzialmente.Era la stessa cosa che accadeva al bambino nella pancia di Sofia: il virus gli aveva impedito di crescere seguendo la normale tabella di marcia del feto. «Trovandoci davanti a qualcosa di raro – racconta Franchi – abbiamo chiesto persino il parere dell’Istituto superiore di sanità. Tutto questo è avvenuto in un giorno, la nostra risposta è stata rapida, anche grazie all’attenzione dei medici ce ci avevano preceduto negli esami».
Cosa restava da fare? Al bambino era stata diagnosticata una grave malformazione, ma per l’interruzione di gravidanza, per la legge italiana, era troppo tardi. Si può abortire senza parere medico entro il terzo mese e, con una diagnosi specifica, entro la ventiduesima settimana, ossia al quinto mese. Sofia era già alla ventisettesima settimana. «Abbiamo fatto il nostro dovere – spiega Franchi – ossia informato la donna di ogni possibilità. Tra queste, c’è quelle di interrompere la gravidanza in un paese comunitario che lo consente».
Quello della veronese è il sesto caso di Zyka in Veneto, un settimo è stato riscontrato su un pensionato di 64 anni di Isola Vicentina, in provincia di Vicenza qualche giorno fa. L’uomo, rientrato da una vacanza in Messico, nello Yucatan, ha accusato febbre, dolori muscolari e articolari. Si è fatto accompagnare in ospedale a Vicenza e gli esami hanno confermato il sospetto iniziale. (Corriere del Veneto – 21 febbraio 2016)
21 febbraio 2016