Buone notizie dall’Africa occidentale. L’epidemia di ebola è ufficialmente finita: lo annuncia stamani l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), dichiarando chiusa l’emergenza anche nell’ultimo paese in cui aveva registrato casi di infezione, cioè la Liberia. Oggi, spiega infatti l’Oms, scadono i fatidici 42 giorni dopo la guarigione completa delle ultime due persone che si erano contagiate, indicata da due test diagnostici consecutivi negativi, che escludono cioè la persistenza del virus nel loro sangue.
Si può perciò dire, con un ragionevole margine di sicurezza, che la trasmissione da uomo a uomo della malattia è stata interrotta. Ed è un’ottima notizia, che fa tirare un enorme sospiro di sollievo al termine della peggiore epidemia di ebola mai registrata nella storia. Ma questo, avvertono le autorità sanitarie, non significa che il continente africano sia ebola- free o che da adesso in poi la malattia non possa ricomparire da un momento all’altro.
Il virus ebola, infatti, non è un virus umano. È un virus di alcuni animali africani, e probabilmente soprattutto dei pipistrelli della frutta per i quali è pressoché innocuo. Nell’uomo si presenta a ondate epidemiche improvvise, quando qualcuno entra in qualche modo in contatto con il serbatoio animale, per esempio giocando vicino a un nido di pipistrelli o macellando un animale infetto. Durante l’incubazione, la persona può diffondere la malattia tra i familiari, nei villaggi e lungo le strade, e poi, quando comincia a presentare segni della malattia, negli ospedali in cui finisce ricoverata. Ed è andata così anche questa volta. Il primo caso sembrerebbe essere stato un bambino guineiano di due anni del comune di Guéckédou, che nel dicembre del 2013 aveva cominciato ad avere febbri altissime, vomito e diarrea ed era morto in pochi giorni. Nel giro di una settimana erano morte anche la madre, la sorellina e la nonna. Poi il focolaio aveva cominciato a espandersi: si erano ammalate persone di altri villaggi, e i medici e gli infermieri che si erano presi cura di loro. Finché nel marzo successivo non si era identificato il virus ebola, che intanto si era diffuso nel paese e nei vicini Liberia e Sierra Leone, affacciandosi per la prima volta in questa parte di Africa.
Da allora i morti (riconosciuti) sono stati più di undicimila. E i diciassettemila sopravvissuti hanno tuttora problemi medici e soprattutto problemi sociali, perché su di loro cade lo stigma di una malattia violentissima da cui si guarisce solo con un’assistenza medica avanzata. Non esistono infatti farmaci specifici per ebola. E alcuni vaccini sono in fase avanzata di studio (in Italia, in Canada e, annunciato ieri da Vladimir Putin in persona, in Russia), ma nessuno è ancora disponibile.
Intanto, dopo un picco di malati a metà del 2014, l’epidemia è stata controllata e dalla fine dell’anno scorso i bollettini hanno potuto annunciare la lenta fine dell’emergenza. Così il 7 novembre l’Oms ha dichiarato la fine della trasmissione umana in Sierra Leone, poi, il 29 dicembre, in Guinea. Adesso tocca alla la Liberia.
Ma comunque non si abbassa la guardia: per educare i guariti a prevenire contatti stretti con i familiari nel caso, ormai davvero poco probabile, di una riemersione dell’infezione. E perché sia possibile che, stavolta, la segnalazione dei primi casi di infezione sia più rapida ed efficace.
Repubblica – 14 gennaio 2016