L’assenteismo non paga. Nel vero senso della parola, però, visto che chi perde giorni di lavoro si vede decurtare o addirittura annullare premi di risultato e aumenti salariali. Lo sostiene una robusta maggioranza di responsabili delle risorse umane, il 77,2%, che ci rivela un aspetto della sua politica di gestione: “l’assenteismo incide parecchio sulla valutazione di fine anno di un dipendente”.
E per chi non avesse ben capito il senso dell’affermazione, il 75,4% precisa che l’assenteismo impatta “molto o abbastanza sull’assegnazione di eventuali premi o incrementi retributivi”, nonostante il 78% precisi che la malattia sia la causa che incide maggiormente sul tasso di assenze. Dunque neanche un motivo esterno alla volontà qual è un malanno certificato salva da una severa valutazione? “Ogni assenza, anche per un giustificato motivo — sostiene il presidente dell’associazione di direttori del personale Gidp Paolo Citterio — riduce comunque il contributo del lavoratore a produzione e produttività aziendale e quindi giustifica una minor quota di premio di risultato”. I dati arrivano da un’indagine proprio di Gidp, che ha interpellato 100 direttori risorse umane soprattutto di grandi gruppi multinazionali operanti nel nord Italia.
Il fatto di dover incassare una valutazione non soddisfacente pure nel caso di una malattia, probabilmente deriva anche da un non celato scetticismo da parte di una quota di direttori del personale circa i periodi di assenza: il 38,3% dichiara che si concentrano in prossimità delle feste. Il sospetto diventa poi generalizzato se si parla di visite fiscali, poiché il 91,8% sottolinea che le verifiche confermano sempre il contenuto dei certificati medici già forniti dai lavoratori. Al punto che un direttore del personale su due rinuncia all’invio della visita fiscale.
«Attenzione, però — commenta Citterio — causa dell’assenteismo è anche la demotivazione dei lavoratori, generata per esempio dai rapporti con il capo e con colleghi invidiosi o dall’insoddisfazione per mancate promozioni. Per questo il 56% dei colleghi dichiara saggiamente di correre ai ripari con misure per aumentare l’engagement, il coinvolgimento e l’identificazione dei dipendenti con l’impresa». Anche se alla fine le aziende (l’82,4%) si autoassolvono da ogni responsabilità riguardo all’assenteismo: non si considerano “responsabili del fenomeno”. Escludendo i dirigenti, per tutti gli altri dipendenti la percentuale di assenteismo in un anno arriva al 5%. Poco cosa rispetto al 12% del comparto pubblico? Non proprio se si tiene conto che, per esempio, nel settore metalmeccanico i giorni lavorativi annui sono 220, e il 5% fa in media 11 giorni di assenze.
Enzo Riboni – Il Corriere della Sera – 12 gennaio 2016