Elena Dusi, Repubblica. Qualcosa resterà di noi, e non sarà una poesia. Se dopo la scomparsa dell’umanità qualcuno si ripresentasse sulla Terra, fra le tracce del nostro passaggio troverebbe cemento, plastica, manufatti di alluminio e residui delle esplosioni atomiche. Scavando col suo martello fra un milione di anni, l’ipotetico geologo del futuro saprebbe riconoscere lo “strato dell’uomo” dall’abbondanza dei fertilizzanti, dalle tracce dell’innalzamento dei mari e dal particolato emesso da carbone e petrolio.
Per questo alla domanda se davvero esista una nuova era caratterizzata dalla presenza della nostra specie, gli scienziati inglesi dell’università di Leicester e del British Geological Survey rispondono oggi con un convinto sì. L’umanità ormai è un vero e proprio processo geologico e continuando a graffiare il pianeta lo ha sospinto in una nuova era: l’antropocene. Alle sue caratteristiche gli scienziati britannici dedicano un articolo su Science.
Lo strato dell’uomo, scrivono i ricercatori, «contiene materiali che non erano mai esistiti sulla Terra», ribattezzati tecnofossili. Il cemento, ad esempio, prodotto dai tempi dei romani, oggi ricopre la superficie del pianeta con 50 miliardi di tonnellate, metà delle quali prodotte negli ultimi vent’anni. Per il geologo del futuro non sarà difficile trovare nemmeno le tracce dei 300 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno (più o meno l’equivalente del peso dei 7,5 miliardi di viventi), dei 500 milioni di tonnellate di alluminio creati a partire dal 1950 o dei 57 miliardi di tonnellate di minerali estratte dal sottosuolo ogni anno. Né del 50% di superficie terrestre modificata dall’uomo. E se sulla data di inizio dell’antropocene esistono versioni discordanti, nessuno dubita che dal 1950 a oggi l’ingresso nella nuova era abbia subito una «grande accelerazione», con il boom demografico, industriale, di sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche che galoppano a ritmi tutt’altro che geologici.
Secondo gli autori di Science l’ingresso della Terra nell’antropocene (il termine fu usato per la prima volta nel 2000 dal Nobel per la chimica Paul Crutzen) potrebbe essere avvenuto un giorno ben preciso: il 16 luglio del 1945, quando ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, esplose Trinity, la prima bomba atomica dell’umanità. Da allora, con i test proseguiti per almeno trent’anni (e un picco di inquinamento atomico registrato nel 1964), il pianeta si sarebbe riempito di residui radioattivi destinati forse a sopravviverci. Altre ipotesi sull’inizio della nuova era puntano sull’introduzione di agricoltura e allevamento. Circa 10mila anni fa, per fare spazio alle nuove attività, gli uomini iniziarono a distruggere foreste e modificare il paesaggio. La scoperta dell’America — un’altra possibile data di inizio della nuova epoca — ha rimescolato specie animali e vegetali come mai era avvenuto prima. Ma la candidatura più forte resta quella della rivoluzione industriale, con il suo boom di emissioni di gas serra e altri inquinanti cui viene imputato oggi il riscaldamento globale. L’anidride carbonica, che all’inizio dell’800 permeava l’atmosfera per 120 parti per milione, l’anno scorso ha superato i 400: record degli ultimi 800mila anni.
A quello che oggi viene impiegato come un termine dai confini ancora poco distinti, i geologi britannici vorrebbero presto dare una definizione scientifica. «La formalizzazione dell’antropocene come una nuova era — scrivono su Science — avrà conseguenze ben oltre il campo della geologia. Dimostra infatti fino a che punto l’umanità sta provocando un cambiamento rapido ed esteso al sistema Terra. Cambiamento che rimarrà e probabilmente si intensificherà anche in futuro ». L’ufficializzazione della fine dell’olocene (l’epoca iniziata circa 12mila anni fa) e l’ingresso nell’era geologica dell’uomo potrebbe avvenire già alla fine di quest’anno. La questione infatti è già nell’agenda dell’International Commision on Stratigraphy, l’unione dei geologi che si occupa di definire la misurazione della storia del pianeta.
Repubblica – 11 gennaio 2016