Il blocco di assunzioni e rinnovi dei contratti nelle Pubbliche amministrazioni che si rivelano troppo lente nei pagamenti ai fornitori è incostituzionale. Lo ha decretato la sentenza 272/2015 depositata ieri dalla Consulta (presidente Criscuolo, relatore de Pretis), che in questo modo accoglie il ricorso proposto da Regione Veneto e nei fatti invita il legislatore a trovare una strada diversa per spingere gli enti pubblici a pagare in tempo.
A cadere sotto le forbici dei giudici costituzionali è l’articolo 41, comma 2 del decreto 66 del 2014 (quello sul bonus Irpef da 80 euro) che ha individuato nel blocco del personale l’argomento più convincente per spingere le amministrazioni a onorare i propri debiti commerciali. I tempi massimi, 90 giorni nel 2014 e 60 a partire da quest’anno, sono quelli rafforzati dalla legge europea dell’anno scorso che ha attuato le direttive Ue in materia: per dimostrarne il rispetto, una serie di regole impone poi alle amministrazioni di calcolare l’indicatore sulla «tempestività dei pagamenti», che misura il tempo medio della liquidazione delle fatture, di allegarlo ai bilanci e di pubblicarlo sul proprio sito istituzionale. Si tratta dello stesso parametro utilizzato per la sanzione, per cui chi ha sforato i 90 giorni nel 2014 non ha potuto quest’anno assumere nessuno e nemmeno rinnovare i contratti in corso. La stessa sorte sarebbe toccata l’anno prossimo alle amministrazioni che quest’anno facessero passare mediamente più di 60 giorni dal ricevimento della fattura al pagamento.
Qui interviene però la sentenza depositata ieri dalla Consulta, che non cancella l’obbligo di calcolare e pubblicare l’indicatore ma le penalità sul reclutamento del personale.
A motivarne l’illegittimità è un complesso di fattori, riassumibile nella mancata «proporzionalità» delle sanzioni che le mette in conflitto anche con il principio del «buon andamento della Pubblica amministrazione» tutelato dall’articolo 97 della Costituzione. Il ragionamento seguito dalla sentenza è sistematico, e può tornare utile a Governo e Parlamento per evitare di riprodurre la tecnica della norma-manifesto destinata a cadere di fronte alle contestazioni di illegittimità.
Prima di tutto, in molte amministrazioni, a partire da quelle locali, a rallentare i pagamenti potrebbero essere cause esterne, per esempio il ritardo nell’erogazione di trasferimenti statali e i vincoli del Patto di stabilità. La prova arriva dallo stesso decreto 66, che all’articolo 44 ha provato a stabilire (con risultati alterni) che i trasferimenti vanno erogati entro 60 giorni dalla definizione delle loro regole.
Ma anche ammettendo che i tempi lunghi dei pagamenti nascano solo da inefficienze interne all’amministrazione ritardataria, aggiunge la Corte, la sanzione non colpisce nel segno, perché non va a colpirne le cause. Non solo: chi sfora di un giorno e impiega tempi biblici incappa nel blocco totale delle assunzioni, senza alcuna distinzione fra violazioni leggere e plateali.
Tutti questi argomenti potrano all’incostituzionalità della regola anche se, spiega la Corte, la previsione di sanzionare le attese medie troppo lunghe inflitte ai creditori non viola in sé l’autonomia delle Regioni e rientra nel «coordinamento della finanza pubblica», competenza statale che si manifesta non solo nei tagli alla spesa pubblica ma anche nella sua riorganizzazione. Per farlo, però, servono misure proporzionali.
Vale comunque la pena di ricordare che restano in campo tutte le altre sanzioni, che non si basano sul tempo medio impiegato per i pagamenti ma colpiscono i singoli ritardi. Quando si sforano le scadenze, infatti, scatta il tasso maggiorato dell’8%, partono in automatico gli interessi di mora, l’obbligo di risarcire il danno del creditore per le spese impiegate nel recupero. Sempre in vigore, infine, la nullità delle clausole «inique». Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore
Blocco delle assunzioni illegittimo. La Consulta dà ragione al Veneto: «Penalizzati i virtuosi». E il governatore Zaia esulta: «Sentenza innovativa e giusta»
Venezia Nell’estenuante match col governo davanti agli arbitri della Corte costituzionale (quasi un centinaio di gong dal 2010 ad oggi), la Regione mette a segno una doppia vittoria, «di quelle che lasciano il segno» esulta il governatore Luca Zaia.
Con sentenza depositata lunedì, infatti, la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 41, comma 2, del decreto legge n. 66 del 2014, che imponeva il blocco delle assunzioni per tutte le Regioni, indistintamente, compresi i rapporti «Co.Co.Pro» nel caso in cui l’ente avesse sforato i tempi di pagamento ai fornitori. È, questa, la prima vittoria, di sostanza, resa più intensa dal fatto che il Veneto era stata l’unica Regione a ricorrere con gli avvocati Luca Antonini ed Ezio Zanon. Poi c’è la seconda, ideale, che segna un passo avanti nella battaglia che da sempre a queste latitudini si combatte per il riconoscimento della virtuosità amministrativa e la riduzione degli sprechi. Scrivono infatti i giudici: «Non può essere trascurato il fatto che la norma (quella del decreto 66, ndr .) non tiene conto della situazione dell’ente pubblico dal punto di vista della dotazione di personale. A seconda di tale situazione, l’afflittività della sanzione in essa prevista può variare imprevedibilmente e risultare eccessiva (e, dunque, sproporzionata) proprio per quelle regioni che, negli ultimi anni, hanno ridotto la propria spesa per il personale». Il che è esattamente il caso del Veneto: «La nostra Regione, che per il personale spende complessivamente 149 milioni di euro, veniva assurdamente posta sullo stesso piano di altre che, pur avendo la stessa popolazione, spendono il doppio come la Campania, 303 milioni di euro o addirittura oltre dieci volte tanto, come la Sicilia, che spende nientemeno che 1.664 milioni di euro. In termini pro capite – ricorda Zaia – la virtuosità del Veneto è ancora più evidente: la Sicilia sborsa 115 euro, la Campania 24,23 euro, il Veneto 11,53 euro».
Insomma, la Corte costituzionale dice (forse per la prima volta, i giuristi sono al lavoro tra gli scaffali) che il classico intervento «orizzontale», tanto in voga a Roma quando si tratta di dare una raddrizzata alle periferie dell’impero, proprio non va: se risparmi devono essere, questi vanno applicati amministrazione per amministrazione, senza mazziare chi non se lo merita (e chissà magari un domani quest’ultimo verrà pure premiato). «È una sentenza innovativa, con la quale si fa davvero giustizia – sottolinea ancora il governatore –. Applicando il principio costituzionale di proporzionalità, la Consulta per la prima volta bacchetta sonoramente il governo che non ha “opportunamente graduato” il suo intervento, non distinguendo tra Regioni virtuose e Regioni non virtuose. Finalmente è accaduto quello che noi chiediamo da sempre, un metodo e un principio che ci auguriamo possa valere anche per il futuro, su questioni sia relative ai tagli lineari che il governo continua imperterrito a praticare, sia relative alla perdurante mancata considerazione dei costi standard».
Ma.Bo. – Il Corriere del Veneto – 23 dicembre 2015