Complice il gran parlare che si fa in questi giorni del binomio banche-soldi buttati al vento, ieri in consiglio regionale è riesploso il caso «derivati», già al centro nella scorsa legislatura di un’aspra battaglia da parte del Pd (condotta dal vice capogruppo Piero Ruzzante), oltre che di un richiamo della Corte dei conti in occasione della parifica 2013.
A risfoderarla, forte della dettagliata relazione di un anonimo docente di Ca’ Foscari, è stato il capogruppo del Movimento Cinque Stelle Jacopo Berti, nell’occasione controrelatore del rendiconto di bilancio 2014 (poi approvato con 27 voti a favore e 15 contrari). Berti si è sostanzialmente disinteressato del rendiconto nel suo insieme, facendo spallucce di fronte ai rimbrotti del presidente Roberto Ciambetti e preferendo lasciare alle altre forze di opposizione la battaglia sui singoli capitoli per concentrarsi esclusivamente sulla questione «derivati collar», con alcuni nuovi dettagli sviscerati con i toni tipici della schiettezza pentastellata («Smascheriamo gli amici delle banche», «Zaia rispondi», «Ci hanno fregato di nuovo» e via di questo passo). Com’è noto, la Regione stipulò nel 2006 due collar a copertura di altrettanti prestiti obbligazionari, «Regione del Veneto 2005» (valore 200 milioni con l’irlandese Depfa Bank) e «Regione del Veneto 2003» (129 milioni con Intesa-San Paolo). Il collar è una formula di «swap» che prevede un tetto massimo per il tasso (il «cap»), che neutralizza a favore del cliente l’eventualità che gli interessi schizzino verso l’alto, ma anche un tetto minimo (il «floor»), che nel caso di una discesa a picco del tasso ribalta il meccanismo appena descritto in favore della banca. In un’epoca di tassi bassissimi, proprio quest’ultimo è il caso di Palazzo Balbi che, secondo i dati di Berti, «ad oggi ha perso 57 milioni, che diventeranno 150 alla chiusura del contratto nel 2036. Un cappio strettissimo attorno al collo dei cittadini». La maggioranza, coll’ex assessore al bilancio e oggi presidente del consiglio Ciambetti, ha replicato che si è trattato di una diversificazione del rischio all’interno del «giardinetto» dei mutui, dove il 55% è a tasso variabile, il 20% a tasso fisso e la parte restante, per l’appunto, coperta dai derivati. «E i collar vanno valutati alla luce delle condizioni dell’epoca – gli ha fatto eco l’assessore allo Sviluppo Roberto Marcato – chi poteva sapere che il mercato dei tassi sarebbe sceso così? Nel 2006 cresceva, fu una manovra prudenziale». Sta di fatto che nessuno ha contestato i numeri monstre sciorinati da Berti, che ha poi affondato la lama ricordando che la delibera fu firmata dall’allora vice presidente Zaia in persona (causa assenza del governatore Galan), che la società di consulenza cui si rivolse la Regione «fu scelta senza gara e poi pagata 30 mila euro», che al momento della stipula misteriosamente Palazzo Balbi rinunciò ad incassare 3 milioni e che già allora «i modelli finanziari avvertivano che i collar avevano il 65% di possibilità di danneggiare l’ente». Parapiglia in aula («Non calunniate Zaia»), la seduta ad un certo punto è stata pure sospesa.
Alla fine il dem Ruzzante ha presentato un ordine del giorno per impegnare la giunta a «recedere o rinegoziare» i due derivati. L’ordine è stato bocciato ma l’assessore al Bilancio Gianluca Forcolin si è impegnato a verificare se esistano margini per la ricontratta zione.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 11 dicembre 2015