San Bortolo in emergenza. L’applicazione del turno europeo che, da mercoledì scorso obbliga – pena multe salate – a un riposo biologico di 11 ore continuative nell’arco della giornata e al tetto di 48 ore di lavoro settimanali, rischia di far precipitare l’ospedale nel caos. Vanno subito in crisi i reparti più a corto di personale. L’umore di molti primari tende verso il basso.
E si materializza la previsione peggiore: il corto circuito dei servizi. Insomma, proprio l’ipotesi estrema che lo stesso Collegio dei primari aveva ipotizzato qualche settimana fa davanti al dg Ermanno Angonese. Le conseguenze, ovviamente, sui pazienti e sulle liste di attesa. Nell’ufficio del direttore sanitario Ennio Cardone continuano ad affluire note vergate dai primari con cui si annuncia il taglio delle prime attività. Lo schema generale ricalca il facsimile concordato dai primari, ma poi, nello specifico, le lettere sono personalizzate in base alle difficoltà dei singoli reparti. Già una decina queste dichiarazioni di resa recapitate a Cardone ma divulgate, sotto forma di comunicazione, anche ai pazienti. Fra le prime ad arrivare la nota firmata dal primario ff di oncologia Marcella Gulisano, che, dopo la premessa uguale per tutti («stante la persistente carenza di organico e nonostante ogni tentativo di riorganizzazione») informa di essere costretta a «sospendere fino a data da destinarsi le visite di controllo ambulatoriali già programmate il giovedì pomeriggio dalle 14 alle 17 e nelle due ultime fasce orarie del mattino, e le visite di controllo del mercoledì nell’ambulatorio di senologia».
Poi di nuovo la formula di rito stabilita: «II provvedimento si rende necessario per mantenere adeguato lo standard di assistenza e di qualità di cure per i pazienti, tutelando i diritti del personale». E l’assicurazione che l’attività verrà ripristinata «alla cessazione dello stato di carenza dell’organico». Con un’ultima precisazione: «II medico di medicina generale resta il riferimento per i controlli clinici, la prescrizione di esami strumentali ed eventuali terapie domiciliari».
Si sta, dunque, profilando ciò che si era abbondantemente temuto. In pratica si riduce l’attività clinica dinanzi al timore di incorrere nei fulmini degli ispettori del lavoro per l’impossibilità di conciliare servizi, organici in sofferenza e regole comunitarie. Disperato il primario di chirurgia pediatrica Fabio Chiarenza: «Questa legge ci mette in ginocchio. Ci impone vincoli che impediscono di lavorare come prima. Eravamo già con il personale contato e ora è come se ci togliessero un altro medico e mezzo. Non so cosa fare. Potremo resistere ancora un mese, poi chiuderemo sale operatorie e ambulatori specialistici a cominciare da quello per la spina bifida». Ancora: «A Bologna hanno fatto presto. Il reparto analogo al mio aveva bisogno di tre medici e li hanno assunti subito. Nel Centro-sud non ci sono problemi perché hanno abbondanza di personale. Sulla graticola restiamo noi del Veneto e della Lombardia».
Il malessere è palpabile. Il direttore sanitario Cardone lo aveva già detto alla vigilia del nuovo corso: «Navigheremo a vista». E appare realistico anche adesso: «I segnali non sono buoni. Cominciano a mostrare il fiato i reparti superspecialistici da ospedale hub come il nostro, dove manca personale e non si riesce a fronteggiare la domanda. Rischiano di saltare ambulatori, risonanze, tac. Occorrono almeno 12 medici in più oltre il turnover per garantire il minimo, ma ce ne vogliono almeno 30 per avere le spalle coperte». Per Cardone non ci sono alternative, l’unica opzione è assumere: «Fino al 31 dicembre riusciremo a parare i colpi, poi toccherà alla nuova Amministrazione. Dovrà decidere anche il governo: più risorse o deroghe”. ·
Franco Pepe – Il Giornale di Vicenza – 1 dicembre 2015