Mercati europei e Stati Uniti trainano l’export italiano di salumi. Nel primo semestre, secondo le rilevazioni di Assica, l’associazione dei produttori, gli invii di prodotti della salumeria italiana sono balzati di circa il 6% a 74mila tonnellate e a 615 milioni di euro, +3,9%, a valore.
Un buon risultato che rappresenta un passo in avanti rispetto alle difficoltà che trovano i nostri salumi nel processo di penetrazione all’estero, sia per le barriere non tariffarie che per una questione di cultura d’uso del prodotto. A trainare la crescita è stata soprattutto il mercato europeo (in particolare la Spagna, pare per una maxi fornitura di prosciutto cotto Fiorucci alla casamadre Campofrio, in seguito allo stop di uno stabilimento) e il boom del mercato statunitense: +20,8% in quantità e +25,9% a valore.
«È stato molto importante – osserva Davide Calderone, dg di Assica – lo stop alla penalizzazione derivante dal provvedimento 100% reinspection Usa (blocco della merce in dogana per esami sanitari ndr). Le nostre aziende hanno potuto così fare magazzino in loco e “fluidificare” il processo commerciale. Il mercato a stelle e strisce ha risposto benissimo e non solo per il mini euro».
Tuttavia il successo negli Usa non è bastato a compensare il rallentamento di alcuni importanti mercati (come Germania, Svizzera e Austrai) nonché le difficoltà legate all’embargo Russia. Nel complesso nei primi 6 mesi dell’anno la domanda dei Paesi terzi è apparsa debole a volume.
Contraddittorio invece il trend dell’import: nel semestre ha registrato una lieve crescita in quantità, +1,5% per 25mila tonnellate, ma una contrazione in valore, -2,5% per circa 90 milioni. Il saldo commerciale del settore ha registrato un incremento rilevante: +5,1% per 525 milioni di euro.
Quanto ai prodotti, la parte del leone l’hanno fatta i prosciutti crudi: +5% a volume e +3,8% a valore a 318 milioni. «E noi del San Daniele abbiamo fatto meglio – sottolinea Mario Cichetti, dg del Consorzio – In sei mesi abbiamo aumentato l’export del 10,5% sia per l’Europa che per gli Stati Uniti. Un’estate favorevole con consumi molto sostenuti ci ha favoriti e oggi abbiamo raggiunto anche un buon equilibrio tra domanda e offerta. Il magazzino si è assestato intorno al 18%, un livello ottimale».
In effetti, dicono gli operatori, di prodotto Dop e non Dop in giro ce n’è poco. Una spinta per i prezzi che, dall’inizio dell’anno, «hanno guadagnato almeno 50 centesimi al chilogrammo franco produttore – sottolinea il dg del Consorzio del prosciutto di San Daniele – Questo però non si è trasferito sui prezzi al dettaglio che rimangono stabili, ma ha permesso di ricostituito un po’ di margine per i produttori». E la produzione? «Quest’anno dovrebbe aumentare del 5/6% – conclude Cichetti – e credo anche nel 2016».
Quanto agli altri prodotti esportati si sono distinti i prosciutti cotti (+39% a volume), i salami (+3%) e la bresaola (+7,6%).
Diverso il trend del mercato italiano. Secondo i dati di Iri riferiti ai canali iper+super+superette, nell’anno mobile terminante ad agosto 2015, le vendite sono rimaste piatte, con una crescita dei salumi confezionati (+7,6% a valore)e una sofferenza del peso variabile (il banco taglio cala del 2,8%). Nel complesso vanno bene prosciutto cotto (+0,3% a valore), crudo e bresaola (+1%); male invece salami (-3,1%), mortadella (-1,4%), pancetta (-4,3%) e coppa (-3,6%).
E il contraccolpo dell’allarme Oms su carne e insaccati? «Oggi ci sono solo stime e nessun dato certo – osserva Calderone – Come Assica però ribadiamo che i risultati della ricerca Iarc si riferiscono ai consumatori americani e nord europei. In Italia le quantità consumate di carni rosse e salumi sono meno della metà, inoltre le nostre carni trasformate sono qualitativamente superiori a quelle nordeuropee».
Emanuele Scarci – Il Sole 24 Ore – 6 novembre 2015