Alberto Mattioli, La Stampa. State iniziando a leggere un reportage geneticamente modificato. Di solito i giornalisti vanno a raccontare i posti dove succede qualcosa; questa volta invece raccontiamo il posto dove non succede niente. Per fare la classifica delle non-notizie, l’hit parade della noia, la graduatoria dell’insignificanza basta vedere quante volte sono citate dalle agenzie le città capoluogo di provincia, escludendo ovviamente quelle che lo sono diventate quando già si parlava, le province, di abolirle. And the winner is… Rovigo!
Oscar alla calma: dal 30 marzo, la capitale del Polesine e di nient’altro compare in appena 116 «lanci» comprensivi di previsioni meteo, risultati della serie D, bollettini Anas. Battuta clamorosamente Chieti (145 citazioni), un posto di cui notoriamente non si sente mai parlare. Bene: di Rovigo si parla ancora meno.
Non è esattamente uno scoop. Già l’anno scorso, Rovigo risultò prima classificata in noia in un sondaggio di «Caterpillar», la trasmissione di Rai Radio 2, in quel caso superando però Udine. Fra i commenti degli ascoltatori, autoctoni e non, perle come queste: «Rovigo è così noiosa che, girandola a piedi, non riesci nemmeno a perderti»; «Rovigo non esiste, è la città del “Truman Show”»; «Rovigo meriterebbe, ma è alle porte di quella metropoli frenetica che è Lendinara»; «Noiosa Rovigo? No, c’è un sacco di roba… È che c’è talmente nebbia che non la trovi».
Sul posto
Non resta che andare a vedere. Il tour fra le mille luci di Rovigo si è svolto martedì scorso, in una circostanza che è un po’ l’eccezione che conferma la regola. Era infatti il «marti franco», «marti» nel senso di martedì e «franco» in quello di «porto franco», insomma il giorno dell’edizione 533 della fiera che si replica dai tempi della Serenissima e, parrebbe, con le stesse modalità. Sta di fatto che le strade erano piene di bancarelle, di gente e di animazione: effetto un po’ da Anni Cinquanta, ma di certo non noioso.
Tra rugby e noia
Però si vorrebbe capire quanto si sbadigli a Rovigo nei restanti 364 giorni dell’anno. Visto che il pesce comincia ad annoiarsi dalla testa, meglio iniziare con il sindaco. Si chiama Massimo Bergamin, è leghista e ha vinto le elezioni di fine maggio nella sorpresa generale, compresa la sua. E ovviamente difende la sua città: «Un posto tranquillo, sereno, senza grande criminalità». Vero, come le statistiche confermano. Infatti il rischio maggiore pare quello di slogarsi la mascella a forza di sbadigliare. E qui Bergamin, che come molti leghisti ama le frasi ad effetto, ne sfodera addirittura due: «Siamo un popolo cui piace ascoltare il silenzio» e «la normalità non è noia. L’Italia è piena di gente che si alza la mattina e vuol fare il fenomeno. Noi no». Poi ricorda che la città è bella, che il teatro Sociale funziona e anzi ha appena fatto l’«Aida» (però!) e che, se la squadra di calcio è in Eccellenza, il vero sport locale è il rugby nel quale Rovigo è leader. Resta il problema di questa immagine, diciamo così, un po’ soporifera… Cosa fare per attirare qualche visitatore? «Punterò sul turismo naturalistico e sui nostri prodotti tipici: il radicchio di Rosolina e l’aglio nobile».
Identità sfumata
Aspettando che l’aglio faccia effetto, sentiamo Mario Cavriani, anima della Minelliana, la casa editrice specializzata in storia locale: «Noiosa non è l’aggettivo giusto. Diciamo che Rovigo è quieta. Il problema è che manca un po’ l’identità storica. Siamo circondati da città che hanno una forte memoria collettiva come Verona, Padova, Mantova o Ferrara. Rovigo, no. C’è una grande vivacità a livello popolare, basta vedere la fiera o andare nei mercati. Invece le istituzioni culturali hanno un pubblico molto ristretto».
Riempire il giornale
A questo punto può entrare in scena l’eroe della storia, che è Carlo Cavriani (il cognome non è una coincidenza: è il figlio di Mario), capo della locale redazione del «Resto del Carlino», insomma l’uomo che tutti i santi giorni deve riempire un giornale di notizie che non ci sono: «Ma non credo che, mettiamo, a Sondrio o ad Alessandria ci siano i fuochi d’artificio quotidiani. Rovigo è una città di provincia di 52 mila abitanti come tante altre, né meglio né peggio. Quel che le manca, semmai, è la capacità di promuoversi. Pensa al Delta del Po: è bellissimo, niente da invidiare alla Camargue, e questo lo sanno tutti. Solo che quasi tutti lo associano a Ferrara, mentre è quasi interamente in provincia di Rovigo».
L’esodo dei giovani
Intanto molti giovani se ne vanno, anche perché non è vivace nemmeno l’economia e l’impresa principale (2300 dipendenti) risulta essere l’ospedale cittadino. In controtendenza c’è Mattia Signorini, 35 anni, romanziere di successo, uno che si è laureato a Padova, è andato a vivere a Milano e poi è tornato a Rovigo ad aprirci una Scuola Holden locale, la Palomar, e a dirigere il festival «Rovigoracconta» che, racconta invece lui, «ha avuto migliaia di spettatori e ospiti di importanza internazionale». Per Signorini, chi dice che Rovigo è noiosa «non ci fa un torto ma un favore. Si è aperta una discussione che dura tuttora». Il problema è l’esodo dei rodigini giovani. «Se le menti brillanti se ne vanno, con loro se ne va anche la possibilità del cambiamento. Nonostante tutto, ho deciso di continuare ad abitarci, perché Rovigo è un piccolo posto a misura d’uomo e di vita», anzi addirittura «un underground di idee che aspetta solo il momento giusto per esplodere». Insomma: uno sbadiglio non ci seppellirà.
La Stampa – 2 novembre 2015