Se prendiamo un paniere fatto di vino, pasta, dolci, salumi, formaggi, olio, caffé – i più rappresentativi del segmento food & beverage, per intenderci – l’Italia è il primo esportatore al mondo. E questo è un dato di fatto. Così come è un dato di fatto che l’anno scorso, quando ancora l’Expo di Milano non poteva aver dispiegato alcun effetto volàno, il nostro export in questo segmento è cresciuto più della media mondiale: +3,24% contro +1,96%.
Eppure, se guardiamo singolarmente a ciascuna delle voci di queste esportazioni alimentari, il primato italiano sbiadisce. Sul totale insomma siamo i migliori, ma sui singoli prodotti spesso c’è chi fa meglio.
Sarà riuscito l’Expo, che ormai si avvia alla chiusura, a ribaltare alcuni di questi dati? Lo scopriremo solo con le statistiche 2015, o meglio ancora con quelle del 2016. Ma per il 2014, l’ultimo anno disponibile, gli esperti di Bureau van Dijk (attraverso la piattaforma Trade Catalyst) certificano un’Italia in seconda posizione in quasi tutti i prodotti più rappresentativi del Made in Italy nel mondo.
I formaggi, per esempio. Assolatte qualche giorno fa segnalava che l’Italia è leader in Europa per numero di formaggi a denominazione d’origine protetta. Le nostre Dop sono 51, la Francia ci tallona da vicino con 47 mentre la Germania risulta non pervenuta, talmente ne ha poche. Alzi la mano chi sa il nome del formaggio tedesco più famoso nel mondo. Eppure, quando si tratta di vendere prodotti caseari ai quattro angoli del globo, Berlino ci batte: l’anno scorso i suoi formaggi all’estero hanno incassato 5,1 miliardi di dollari, i nostri solo 2,8; la sua fetta del mercato mondiale è del 15,7%, la nostra solo dell’8,7%.
Sul vino, ça va sans dire, la Francia si culla solitaria sulle vette del mercato globale: 10 miliardi di dollari gli incassi all’estero delle sue cantine, 6,7 miliardi i nostri. Con un dato però che fa ben sperare: i nostri vini nel mondo l’anno scorso hanno messo a segno una crescita dell’1,4%, i loro sono calati dell’1,24%. Nel lungo periodo, potremmo anche acciuffare i cugini d’Oltralpe.
Nei dolci siamo cresciuti parecchio, +5% l’anno scorso, con oltre un terzo del nostro export che riguarda i prodotti della panetteria. Ma il cioccolato, si sa, è una fetta importante del comparto e così sul mercato mondiale ci batte non solo la solita Germania (che esporta per 8,6 miliardi di dollari all’anno, contro i nostri 3,7), ma anche il Belgio, che dall’estero incassa 5,2 miliardi e detiene oltre il 9% del mercato.
Oltre che nei formaggi e nei dolci, la Germania fa meglio di noi anche nel comparto dei salumi. Le imprese tedesche degli insaccati sono i maggiori esportatori al mondo, più ancora degli Stati Uniti, e ogni anno dall’estero incassano 2,3 miliardi di dollari; noi ne intaschiamo 1,6. Il made in Italy però dà segni di maggiore effervescenza: l’anno scorso l’export italiano del settore è aumentato di circa il 7%, mentre quello tedesco è cresciuto solo del 2 per cento. Un altro settore su cui le speranze di un effetto-Expo sono elevate.
Nell’olio il sorpasso spagnolo è cosa nota fin dai primi anni 2000. E la terribile annata 2014 per gli ulivi italiani – dalla xylella alla mosca killer – non ha fatto che accentuare un divario consolidato. L’anno scorso i produttori spagnoli hanno venduto all’estero olio per 3,8 miliardi di dollari: hanno messo a segno una crescita dell’export di oltre il 38% e ora stringono saldamente nelle loro mani più della metà del mercato mondiale del settore.
Sul totale del paniere insomma siamo i primi, ma sui singoli prodotti del cestello qualcuno che ci batte lo troviamo. Quasi sempre, si è detto. E l’eccezione è proprio quel simbolo del made in Italy che è il più simbolo di tutti. La pasta. All’estero ne vendiamo per 2,3 miliardi di dollari all’anno e le nostre imprese controllano il 50% del mercato mondiale. Chi sono i secondi esportatori? I turchi: per 466 milioni di dollari. Mille miglia lontani.
Micaela Cappellini – Il Sole 24 Ore – 26 ottobre 2015