Alessandro Barbera. La decisione è clamorosa, e ricalca quella presa da Berlusconi nel 2008, quando per la prima volta fu abolita l’Imu sulla casa di abitazione. Nell’ultima versione della legge di Stabilità il governo ha introdotto una norma che congela per un anno la possibilità di Regioni e Comuni di aumentare (quasi) tutte le tasse locali.
Dice l’articolo: «Fino al 31 dicembre 2016 è sospeso il potere di deliberare aumenti di tributi e addizionali», con la sola eccezione della tariffa sui rifiuti e dei ticket sanitari. Se l’addizionale di un Comune è fissata al quattro per mille, tale dovrà rimanere. Come ormai accade puntualmente, è Renzi ad annunciare vox populi la novità dagli schermi di La7. L’intento è chiaro: evitare che la cancellazione dell’Imu prima casa (con l’esclusione in extremis di ville e castelli) si trasformi in una corsa dei Comuni a compensare gli aumenti di imposta con altre tasse, in particolare quelle sulle seconde case. Proprio ieri Confedilizia stimava che se ai Comuni fosse concesso di aumentare fino all’otto per mille il limite massimo delle aliquote Imu e Tasi, il prelievo salirebbe di due miliardi. Se ci sia o meno il sì dei Comuni al blocco non è chiaro: Renzi dice che c’è «l’accordo con l’Anci a restituire tutto l’equivalente dell’abolizione della Tasi», ma non aggiunge altro. Ma è improbabile che sindaci e governatori facciano le barricate, perché si assumerebbero la responsabilità politica di una richiesta estremamente impopolare.
Il Senato attende
Fra oggi e domani il testo definitivo della manovra dovrebbe arrivare in Senato. Per legge avrebbe dovuto essere depositato il 15 ottobre, ma ancora ieri sera non c’era traccia né della bollinatura della Ragioneria, né del via libera del Quirinale. Fino all’ultimo Padoan, i suoi vice e il ragioniere generale Daniele Franco hanno lavorato alle coperture e ad evitare il giudizio negativo della Commissione europea. Il primo problema era come dare copertura ai tre miliardi di tagli, ulteriori rispetto ai circa sei che arriveranno dalla revisione della spesa e dalla riduzione dei fondi promessi alle Regioni per la sanità. La norma dovrebbe rinviare all’attuazione della legge Madia di riforma della pubblica amministrazione, di fatto spostando in avanti la decisione su cosa tagliare e cosa no. Non è però detta ancora l’ultima parola: ci sono buone probabilità di attribuire parte di quei tagli alle spese di funzionamento delle Regioni. Per far tornare i conti, una delle soluzioni prevedeva l’aumento delle autorizzazioni all’apertura di punti di scommessa autorizzati dai Monopoli, ma è stata scartata per il no di parte della maggioranza. Un altro problema, posto anche da Bruxelles, era come dare copertura almeno in parte alle clausole di salvaguardia già previste per il 2017 e 2018: sulle teste di tutti noi pendono aumenti di Iva e accise per 26 miliardi nel 2016, 29 nel 2017. Quelle clausole dovrebbero scendere rispettivamente a 14 e 18 miliardi.
I dubbi di Dombrovskis
Con queste modifiche il Tesoro spera di superare i dubbi di Bruxelles, che nei prossimi giorni giudicherà la manovra e deciderà se approvarla così come presentata dal governo. Nella Commissione ci sono due registri: il commissario socialista agli Affari monetari Moscovici ha già dato il suo via libera, il vicepresidente popolare Dombrovkis si mostra più cauto, e lo ribadisce: «Alcune azioni prese a livello di politica fiscale non sono in linea con le raccomandazioni generali di spostare il carico fiscale dal lavoro verso consumi e proprietà». L’ex premier lettone non perdona all’Italia di aver deciso l’abolizione la tassa sulla prima casa in barba alle indicazioni della Commissione. Una bocciatura è difficile, ma non si può escludere una censura o la richiesta di qualche aggiustamento.
La Stampa – 22 ottobre 2015