Un cantiere nel cantiere della manovra. È quello della spending review 2.0. Con alcuni punti fermi, come il recupero di almeno 4-4,5 miliardi dalla centralizzazione degli acquisti di beni e servizi (per via diretta e indiretta) e dalla sanità. Ma anche con diversi i nodi ancora da sciogliere. A partire dall’entità effettiva della stretta sui ministeri che, come al solito, giocano in difesa.
Anche per questo motivo c’è chi non esclude il ripescaggio in extremis della regola del taglio del 3% sulle spese aggredibili imposta lo scorso anno a tutti i dicasteri dal premier Matteo Renzi. Ma, a tutt’oggi, il lavoro del commissario Yoram Gutgeld è tutto impostato per giungere a un’effettiva revisione selettiva della spesa a tappeto, dicasteri compresi. C’è poi il capitolo partecipate. Gutgeld sta lavorando, insieme ai ministeri della Pubblica amministrazione e dell’Economia a un intervento che dovrà diventare operativo dal 2016. Due le opzioni sul tappeto: l’eliminazione mirata di 1.000-1.500 “scatole vuote” o un giro di vite, anche attraverso accorpamenti e fusioni, su una più vasta gamma di società strumentali (oltre 3mila).
Sulla questione sanità, e soprattutto della mobilitazione dei medici, interviene anche Renzi in un’intervista al Tg5. Bisogna «tagliare gli sprechi, se i medici ci vogliono suggerire modi diversi, saremo ben felici di ascoltarli senza che si arrivi allo sciopero. Ma deve essere chiaro che noi stiamo mettendo più soldi nella sanità, non meno», dice il premier. Che aggiunge facendo riferimento al Fondo sanitario: «Segniamoci i numeri: nel 2013 106 miliardi, nel 2014 109 miliardi, più 3%, nel 2015 110 miliardi e il prossimo anno 111 miliardi. I soldi per la sanità non sono tagliati, ne abbiamo messi di più ma la gente invecchia, ha bisogno di cure, quindi dobbiamo trovare criterio per fare cose che servono davvero».
L’obiettivo della spending 2.0 resta quello di non rimanere troppo lontani da quota 10 miliardi di minor spesa. Molto dipenderà dalle scelte di tipo “politico” che saranno fatte a Palazzo Chigi su alcuni capitoli delicati, come partecipate e tax expenditures, in prossimità del varo della legge di stabilità attesa per metà ottobre. In ogni caso non si dovrebbe scendere sotto quota 7-7,5 miliardi. Ma il lavoro portato avanti da Gutgeld insieme a Roberto Perotti contempla opzioni che possono far posizionare l’asticella più in alto.
Il pilastro del nuovo piano di revisione della spesa è rappresentato proprio dall’intervento sulla sanità e dal rafforzamento del meccanismo di centralizzazione degli acquisti con sole 34 stazioni appaltanti. In quest’ultimo caso facendo leva sul cosiddetto metodo Consip potrebbero essere realizzati un paio di miliardi di risparmi ai quali si aggiungerebbero quelli ottenibili per via indiretta, ovvero in combinazione con altre misure su ministeri, regioni e sanità. Proprio la sanità potrebbe contribuire direttamente alla manovra con almeno 2-2,5 miliardi, in gran parte ricavabili dal parziale stop all’incremento del Fondo sanitario (si veda il Sole 24 Ore del 24 settembre). Una stretta che dovrebbe essere accompagnata da un intervento di razionalizzazione sui piccoli ospedali. In questa partita resta da capire quanto inciderà l’adozione, già scattata, del meccanismo dei fabbisogni standard. Nella maggioranza c’è chi, come il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, sottolinea che «il taglio della spesa corrente di Comuni e Regioni non può più essere lineare né tale da premiare la spesa storica».
Tutt’altro che in discesa resta l’operazione che il Governo punta a mettere in moto sul terreno delle partecipate. La stessa Nota di aggiornamento del Def varata nei giorni scorsi dal Governo ricorda i ritardi accumulati da regioni, enti locali e università per la predisposizione dei piani di razionalizzazione delle partecipazioni previsti dall’ultima legge di stabilità. Un obbligo che in alcune Regioni è stato rispettato solo dalla metà degli enti interessati e in altre da una quota addirittura inferiore. Ora con i nuovi interventi allo studio dovrebbe scattare il processo di riorganizzazione vero e proprio. Un obiettivo che l’esecutivo intende centrare attivando due leve: l’attuazione delle apposite misure contenute nella legge delega sulla Pa e il riassetto dei servizi pubblici locali. Il Governo sta ancora valutando non solo il tipo di stretta da far scattare il prossimo anno ma anche lo strumento legislativo da adottare. Anche in questo caso due le opzioni: utilizzare esclusivamente i decreti attuativi della riforma Pa oppure anticipare alcune norme di raccordo direttamente nella manovra. Nel 2016 comunque i risparmi si dovrebbero mantenere abbondantemente sotto il miliardo. E a questo nodo va anche aggiunto quello, noto, della revisione delle tax expenditures.
Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 27 settembre 2015