Nei supermercati la ripresa non è ancora arrivata. Perché aumentano i consumi, ma non quelli alimentari. In un anno, anzi, sono diminuiti dello 0,2 per cento. Nella prima settimana di settembre stanno ancora scendendo nelle regioni del Sud (-0,59) e in quelle del nord-ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria), — 1,12.
È l’instabilità dei consumi alimentari che probabilmente segna un mutamento strutturale del nostro comportamento. La crisi ci ha modificati. Non si torna più indietro. Al supermercato non siamo più quelli del tempo dell’opulenza, per chi — sia chiaro — l’ha vissuto e consumato. Altri oggetti hanno scalzato l’alimentare: lo smartphone, i tablet, l’automobile, il fitness, Il consumismo — se ancora c’è — passa per altre vie. D’altra parte non c’è più il “3X2”, paghi due porti via tre. Accumuli e poi sprechi. È il segnale più evidente, anche simbolico, di un’epoca che si è chiusa, perché ci sono meno soldi, perché si butta sempre meno, perché c’è più attenzione alla salute e all’ambiente. Chi va al supermercato compra just in time: solo quello che gli serve, puntando alle promozioni. La ripresa arriverà (le avvisaglie, seppure timide, ci sono) ma non ci riporterà indietro. «Sarebbe bello poter dire che siamo alla fine di un periodo di crisi, che ora tutto si presenta in discesa. Non è così», spiega Francesco Pugliese, amministratore delegato e direttore generale di Conad, un sistema da più di tremila punti vendita, 11,7 miliardi di fatturato, con una quota di circa il 12 per cento del mercato. Con lui, allora, andiamo a fare la spesa per scoprire quale consumatore ci restituisce la doppia recessione, sette anni bui che hanno falcidiato la piccola distribuzione ma colpito anche i grandi e mutato il cliente medio.
Prima tappa: la prima colazione. In un anno, confermando un andamento che si era già affacciato, c’è stato un calo del 2,6 per cento negli acquisti dei prodotti per la prima colazione: biscotti, merendine, fette biscottate, cereali, latte, caffè, miele, confetture. Vuol dire — forse — che stiamo più attenti a ingurgitare zuccheri e grassi ma pure che andiamo più spesso al bar dove si spende di più per meno prodotti. Difficile pensare che sia aumentata tutta insieme la quota di italiani che salta la prima colazione. Allora, «un segno positivo», sostiene Pugliese. Bene per i baristi.
Male, invece, per i ristoranti di qualità, quelli dei buoni vini, del pesce, delle prelibatezze. Visti dal supermercato sono troppo cari. E il rimedio sta proprio lì tra gli scaffali. Rispetto al mese di luglio del 2014 gli acquisti di quello che viene chiamato il settore gourmet è cresciuto in un anno del 14,1 per cento. Vuol dire che chi non può più permettersi un certo tipo di ristoranti supplisce con la cena di qualità a casa. E compra salmone, caviale, funghi porcini, parmigiano, zafferano, pinoli, tartufi, champagne, spumante classico, vini liquorosi, cialde del caffè.
A doppia cifra è anche l’aumento degli acquisti di prodotti cosiddetti salutistici e biologici. Si sono impennati del 30 per cento in una battaglia in trincea contro il colesterolo. Si acquista più riso, più soia, più prodotti senza glutine. E in linea con questa tendenza è il calo costante nel carrello della spesa della carne rossa a vantaggio di quella bianca (pollame) e di maiale, meno care. La spinta salutista ha portato per la prima volta al sorpasso delle vendite di frutta e verdura rispetto alla carne. «La crisi — aggiunge Pugliese — ci sta facendo riscoprire la stagionalità dei prodotti agricoli. Le melanzane ci sono solo d’estate e quando infuriò la polemica sulle zucchine a tre euro ci si dimenticava che arrivavano dall’estero. Ora non si comprerebbero più. Gli italiani hanno imparato a fare la spending review. Si acquista in promozione e solo quello che effettivamente serve». Servono le proteine? Si comprano i legumi e la frutta secca. Quest’ultima non è più un prodotto natalizio. «Gli italiani al supermercato non hanno rinunciato quasi a nulla durante la crisi. Hanno cambiato priorità. Si è mischiato un migliore equilibrio economico con un approccio più attento alla salute. Dunque la ripresa non riporterà alcun prodotto sulle tavole degli italiani al quale avevano rinunciato ». Ma i segnali della crisi ci sono eccome. Le uova per esempio. Difficile spiegare un incremento di vendite che va dal 10 al 20 per cento in questi ultimi cinque anni se non anche con il fallimento della Lehman Brothers. Pugliese dice che non c’è un consumatore diverso per età. Piuttosto c’è un consumatore diverso per territorio. Fatto cento il mercato dei primi piatti surgelati, quasi un quarto (il 22 per cento) si compra a Milano. Sono i single che trainano questo mercato e sono probabilmente sempre loro il cliente-tipo del supermercato aperto nei centri delle città 24 ore su 24. Il cliente della domenica è invece molto più eterogeneo. C’è un affiliato Conad nel mantovano che dice che il giorno di maggior afflusso è la domenica. Probabilmente lì ci sono molti turnisti. Con buona pace per chi in Parlamento (M5S ma anche Pd) vorrebbe ritornare alla chiusura domenicale. Non c’è più un giorno dedicato (era il sabato fino a qualche anno fa)alla spesa. La si fa più volte durante la settimana. Cercando — ancora — le promozioni.
Repubblica – 11 settembre 2015