M5S: «Stato vampiro, veneti incolpevoli». Tempi di pagamento, la beffa del patto di stabilità. Sui conti pubblici la Consulta apre il caso Regioni, ma non per colpa del Veneto. Dopo la sentenza di incostituzionalità del bilancio del Piemonte, accusato di aver finanziato nuova spesa corrente con i soldi ricevuti in prestito dallo Stato per ripianare i debiti pregressi, si è profilato il timore che il fenomeno possa allargarsi al resto d’Italia, aprendo una voragine di 20 miliardi di euro.
Soldi che gli amministratori veneti non sono però minimamente intenzionati a contribuire a sborsare: «Noi abbiamo rispettato la legge», spiegano dal Balbi (e rilanciano da Ferro Fini, ipotizzando un ricorso alla Corte), anche in considerazione del paradosso che i tempi di pagamento in laguna sono buoni, ma peggiori di altre amministrazioni magari meno virtuose, a causa dei vincoli del patto di stabilità.
Anche il Veneto aveva attivato l’opzione paga-debiti. Prima nel 2013 (777 milioni) e poi nel 2014 (810 milioni) la Regione aveva ottenuto dal ministero dell’Economia e Finanze (Mef) l’anticipazione della liquidità necessaria a pagare i debiti delle aziende sanitarie ed ospedaliere, accumulati per investimenti effettuati fra il 2002 e il 2010. «Avremmo di gran lunga preferito utilizzare il miliardo e 300 milioni bloccati nella Tesoreria Unica dello Stato a garanzia del disavanzo pubblico nazionale – ricorda Roberto Ciambetti, attuale presidente del consiglio regionale e all’epoca assessore al Bilancio – invece Roma ci costrinse ad accollarci due prestiti per complessivi 1,587 miliardi, al tasso dell’1,4%. Comunque sia i soldi ricevuti sono stati interamente destinati alla finalità prevista, per cui tutte le imprese creditrici sono state saldate».
Non è invece successo così in Piemonte, secondo quanto accertato prima dalla Corte dei Conti e poi anche dalla Corte Costituzionale, nonché in Campania, Sicilia, Calabria e Lazio, stando a quanto trapela da ambienti ministeriali. «Ho avviato un’immediata ricognizione nei nostri uffici – afferma Gianluca Forcolin, nuovo assessore al Bilancio – e mi sento tranquillo nel dire che gli accordi col ministero sono stati portati avanti correttamente e che quindi la situazione è sotto controllo. Vedremo a settembre cos’ altro ci dirà il Mef, visto che si è riservato di fornirci ulteriori informazioni alla luce del caso Piemonte».
Nell’attesa Palazzo Balbi ha diramato una nota che, ricostruendo la correttezza del percorso seguito dalle due «leggi regionali di autorizzazione a copertura finanziaria delle due tranche di anticipazione accese presso lo Stato», evidenzia oltretutto due dati di fatto. Primo: «Le stesse leggi regionali non sono state impugnate dal governo, in quanto perfettamente ottemperanti alle disposizioni ministeriali». Secondo: «La Corte dei Conti del Veneto non ha, ad oggi, contestato alcunché». Anche se il Tesoro ha già fatto sapere che il buco dovrà essere coperto dalle Regioni che ne sono responsabili, «senza alcun impatto sui conti pubblici», il Movimento 5 Stelle non si fida troppo e per questo annuncia un ricorso alla Consulta in via incidentale. «Siamo stanchi di uno Stato vampiro che incassa il triplo degli enti locali in tasse e continua a chiederne ancora», sbotta il capogruppo Jacopo Berti.
La stizza è giustificata anche dal raffronto dei tempi di pagamento, che segnala per il Veneto una tendenza relativamente soddisfacente, ma in apparenza meno encomiabile di altre Regioni, per quanto solo dal 2016 sarà davvero possibile un confronto omogeneo, poiché frutto delle stesse regole di calcolo. La norma prevede comunque che l’indicatore di tempestività vada letto in termini di giorni di anticipo (in quel caso il numero è preceduto dal segno meno) o di ritardo rispetto alla scadenza della fattura. Ebbene il Veneto registra ritardi medi attestati sui 38 giorni, mentre ad esempio il Lazio dichiara un anticipo sui pagamenti dell’intero bilancio di circa 9 giorni e la Puglia addirittura di 17 per quanto riguarda le fatture della sanità. «Ancora una volta siamo “cornuti e mazziati” – spiegano da Venezia – perché la soglia che ci è stata imposta dal patto di stabilità è così bassa che non possiamo spendere i soldi che abbiamo in cassa, mentre per gli enti che in passato hanno scialacquato l’asticella è più alta e dunque i loro amministratori possono pure permettersi di fare bella figura coi creditori».
Angela Pederiva – Il Corriere del Veneto – 25 agosto 2015