di Davide Colombo. Quanto vale la riforma della pubblica amministrazione targata Madia? Ce lo dice il Documento di economia e finanza (Def) presentato lo scorso aprile dal Governo. Nei prossimi cinque anni, se interamente applicate, le nuove misure di riordino dello Stato, della sua dirigenza e del lavoro pubblico, le ulteriori semplificazioni previste su procedure diverse e le nuove modalità di accesso digitale ai servizi, dovrebbero valere 0,4 punti di Pil.
L’impatto espansivo di questa riforma (che sommata al Jobs act e alle misure su competitività, giustizia e scuola determina una maggior crescita cumulata di 1,8 punti) avrebbe effetti positivi anche sui principali indicatori di finanzia pubblica, a partire da indebitamento netto e debito. Una macchina statale che funziona e spende meglio fa girare di più l’economia, questo è scontato. Ma nel Def, dove non si dà nulla per scontato, gli effetti di questa riforma sono stati indicati con un esercizio di stima ai fini dell’attivazione della cosiddetta clausola di flessibilità, che l’anno venturo ci darà un piccolo ma prezioso margine di bilancio su cui contare. Ecco l’ottica con cui ha senso guardare a questo passaggio (si spera definitivo) dell’iter della delega.
A più di un anno dalla sua presentazione attardarsi ancora in analisi sulla congruità o meno delle numerosissime azioni previste diventa un esercizio sterile. Così come sarebbe sterile uccidere nella culla questo ennesimo esperimento di riforma complessiva della Pa perché troppi precedenti sono andati male. Vale di più la pena puntare al risultato concreto e verificare sul campo se le ipotesi contenute nel Def si possono realizzare davvero. Bruxelles anche su questo disegno di riforma ci ha dato la sua fiducia. Bene è coglierla e lavorare a fondo per dare attuazione presto e bene a tutti gli articoli del testo (sono 18 più cinque bis). Alcune norme, una volta approvate al Senato, saranno subito applicabili, come per esempio quella sul silenzio assenso tra amministrazioni e gestori di servizi pubblici coinvolti in procedure complesse. Oppure quelle sull’autotutela amministrativa limitata, che daranno subito alle imprese una certezza in più sulla tenuta di un’autorizzazione.
Altre misure hanno bisogno di atti ulteriori, come il regolamento di delegificazione con cui si punta a dimezzare i tempi dei procedimenti amministrativi legati all’avvio di grandi opere o per l’autorizzazione di grandi insediamenti produttivi. Altre ancora come il nuovo testo unico sul pubblico impiego, oltre alla complessità delle norme da razionalizzare, dovranno misurarsi con un confronto sindacale che non si annuncia facile e che sarà tutto sbilanciato sulla richiesta di rinnovo del contratto. Ed ecco ritornare il nodo delle risorse. Questa riforma, se attuata, ne potrebbe liberare molte: vale la pena pedalare fino in fondo per vedere se è vero.
Il Sole 24 Ore – 18 luglio 2015