È un’ingerenza inopportuna (e importuna) nel nostro tempo libero o è l’ormai inevitabile crollo della distinzione tra lavoro e non lavoro? È l’interrogativo che suscita Workmonitor, l’indagine condotta su 34 Paesi dall’agenzia per il lavoro Randstad. C’è un dato che subito colpisce: il 67% dei dipendenti italiani ha un datore di lavoro che richiede disponibilità al di fuori dell’orario d’ufficio.
Una percentuale che surclassa di dieci punti la media globale, collocata sul 57% e che è lontanissima dai dati britannico (50%), francese (49%) e, ancor più, tedesco (43%). La si potrebbe vedere come un’insopportabile ingerenza nella vita privata, invece la netta maggioranza degli italiani (60%) si dice «non dispiaciuta di occuparsi di questioni di lavoro nel tempo libero». Molto meno entusiasti, invece, i britannici (56%), i francesi (50%) e i tedeschi (45%). Per non parlare dei giapponesi che, solo in un caso su tre, accettano intrusioni.
«L’ibridazione del lavoro con il tempo libero e il gioco è un fenomeno corposo e inarrestabile. — commenta il sociologo del lavoro Domenico De Masi — È ciò che io chiamo “Ozio creativo” ed è dovuto al fatto che il lavoro manuale, quello con macchine intrasportabili, è sempre più delegato ai robot, mentre quello intellettuale si fa con strumenti trasportabili, Pc, tablet e smartphone. Quindi oggi la distinzione tra lavoro e non lavoro è puramente fittizia».
Nessun male allora se i capi si intrufolano fin dentro le nostre vacanze come certifica l’indagine Randstad spiegandoci che il 55% dei lavoratori italiani (47% nella media globale) è richiesto d’esser disponibile con telefono ed email durante le ferie? Sembrerebbe proprio di no poiché il 51% degli italiani dice di occuparsi di questioni di lavoro «per scelta» durante le vacanze «per restare aggiornato su quanto accade in ufficio». Un’esigenza che, in media, sente solo una minoranza del 39% di tutti gli altri Paesi interpellati.
«Dire che il fenomeno è inarrestabile — chiarisce De Masi — non significa affermare che non vadano messi dei paletti. Le aziende invece stentano a darsi freni e regole. Se il capo “rompe” la segretaria sulla spiaggia, lei, per converso, si sente orgogliosa della sua indispensabilità. Il fenomeno è più sviluppato in Italia che altrove perché da noi si è sempre gestita l’ambiguità come un fatto positivo».
La commistione lavoro-tempo libero suscita qualche preoccupazione anche in Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad che avverte: «Può costituire un’opportunità di maggior produttività e raggiungimento degli obiettivi professionali, ma dev’essere governata con un’adeguata organizzazione del lavoro per evitare effetti patologici sulla salute delle persone».
Enzo Riboni – Il Corriere della Sera – 14 luglio 2015