Flessibilità sostenibile. Rete di protezione sociale dai 55 anni in su. Unificazione delle posizioni assicurative (e fine delle ricongiunzioni onerose). Armonizzazione dei tassi di rendimento. Nuove opportunità di versamenti perché «non si va in pensione, ma si prende la pensione».
Sono i cinque punti sui quali si incardina la proposta di riforma del sistema previdenziale messa a punto dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, delineata alla Camera in occasione della presentazione della relazione annuale dell’Istituto. Una bozza di riforma già «sottoposta all’attenzione dell’esecutivo» e formulata, ha puntualizzato, «non per esigenze di cassa, ma ricercando maggiore equità, tanto fra le generazioni diverse che all’interno di ciascuna generazione».
La proposta di riforma che, precisa Boeri, «per ovvi motivi di riguardo istituzionale», non è stata esposta a Montecitorio nei suoi «elementi puntuali», prevede per quanto riguarda la flessibilità in uscita di spalmare il montante accumulato nel corso della vita lavorativa in relazione all’età di uscita e alla speranza di vita residua. L’assegno sarà pertanto più basso per chi lo incassa prima. Le proposte presentate in Parlamento, ha osservato Boeri, vanno «riesumando meccanismi propri delle pensioni di anzianità, storicamente lo schema più insostenibile della nostra previdenza pubblica». Il presidente dell’Istituto ha inoltre sottolineato che nella sua iniziativa «non c’è alcuna violazione di procedure e ancor meno vulnus della nostra democrazia» ma è stato messo «a frutto il capitale umano e le banche dati di cui dispone».
Tra le proposte di riforma, che Boeri si era impegnato a formulare entro giugno, figura «il primo passo verso l’introduzione di quella rete di base, di quel reddito minimo garantito che oggi manca nel nostro Paese». È la rete di protezione sociale che dovrà portare a distinguere tra assistenza e previdenza anche a livello contabile, superando così, ha osservato, «un vizio d’origine del sistema contributivo: non prevedere prestazioni minime per chi non ha altri redditi e ha accumulato un montante contributivo troppo basso per garantirsi una pensione al di sopra della soglia di povertà».
La Stampa – 8 luglio 2015