di Filippo Tosatto. A differenza del resto d’Italia, il Veneto non impone ai contribuenti la tassazione addizionale Irpef sulla sanità. La rinuncia (decisa sei anni fa da Giancarlo Galan e confermata dal successore Luca Zaia) evita un ulteriore prelievo dalle tasche dei cittadini ma si traduce in minori entrate nelle casse della Regione, stimate m 150 milioni l’anno.
L’equilibrio dei conti, fin qui, è stato perseguito attraverso una spending prolungata sulla spesa corrente, abbinata alla caccia agli sprechi e al rallentamento degli investimenti. Ora però il quadro è mutato. I tagli per 2,35 miliardi al Fondo sanitario nazionale 2015 (approvati dalla Conferenza Stato-Regioni contro il parere di Veneto, Lombardia e Liguria) mantengono sostanzialmente invariato il budget di Palazzo Balbi – 8,50 miliardi – mentre leggi e sentenze impongono alla Regione maggiori spese farmaceutiche – con l’erogazione di medicinali oncologici a costo elevato e di farmaci innovativi contro l’epatite C – nonché aumenti contrattuali non inferiori allo 0,4%.
Conclusione? Un aggravio di 300 milioni già nell’anno corrente. Ce n’è abbastanza per riesumare lo spauracchio dell’addizionale – evocato dallo stesso direttore generale della sanità, Domenico Mantoan, indispettito e preoccupato dall’esito della trattativa – ma il governatore Luca Zaia, dopo un colloquio con l’assessore Luca Coletto reduce dal vertice romano, ha escluso categoricamente l’eventualità di un inasprimento fiscale: «II nostro obiettivo non è spendere meno riducendo i servizi agli assistiti ma spendere meglio incrementando le prestazioni».
Belle parole ma come tradurle in realtà? La scommessa si chiama «Azienda zero», dal nuovo ente al centro della proposta di legge di riforma che Zaia ha presentato al nuovo Consiglio regionale. Annunciata in campagna elettorale, oggi, per la prima volta, è definita dettagli. Scorrendone le 34 pagine, balza agli occhi la volontà di riformare radicalmente la governance sanitaria, unificando e centralizzando in un unico soggetto – l’Azienda zero, appunto – le funzioni di programmazione e attuazione socio-sanitaria, nonché il coordinamento e la gestione tecnico-amministrativa su scala regionale; a Ulss e Aziende – sgravate da appalti, contratti, oneri burocratici, gestione finanziaria e del personale – saranno riservati esclusivamente compiti di assistenza e cura, ponendo fine a duplicazioni burocratiche e moltiplicazione dei centri di spesa. Non basta. Le 21 unità attuali saranno ridotte a 7 con bacini di utenza equivalenti alle province, richiamate anche nella nuova denominazione: Dolomitica, Marca Trevigiana, Serenissima, Polesana, Euganea, Berica, Scaligera. Invariate, invece le Aziende ospedaliere-universitarie di Padova e Verona nonché lo Iov. Tutto ciò contempla lo sfoltimento del management – l’incarico dei direttori generali in servizio scadrà il 31 dicembre – e soprattutto richiede una scelta oculata dei successori, le cui competenze risulteranno notevolmente accresciute. I tempi? La proposta legislativa fissa l’entrata a regime al primo gennaio 2016: allora – è la promessa- gli effetti della riforma in termini di risparmi e maggiore efficienza diventeranno palpabili. Nel frattempo l’indicazione di Palazzo Balbi è quella di raschiare il fondo del barile degli sprechi. Senza addizionali di sorta.
Il Mattino di Padova – 4 luglio 2015