di Carlo Mochi Sismondi. La retribuzione del pubblico impiego è rimasta bloccata al 2010 contro un pur debole incremento del settore privato (+8,5% nei cinque anni). Il problema è che i soldi non ci sono e, se per caso qualcosa dovesse avanzare, andrà destinato a scuola e ricerca e alla restituzione degli adeguamenti pensionistici.
L’unica strada è quindi quella di creare risorse tramite l’innovazione e la riorganizzazione. La cosa non è affatto banale, ma non è impossibile: dobbiamo però avere progetti precisi e coerenza nelle scelte e nella governance. Non si possono infatti ottenere risparmi se non investendo prima e destinando con assoluta certezza le risorse, a mano a mano che si realizzano i risparmi, all’implementazione dei progetti d’innovazione. Potrei citare moltissimi esempi, mi limito a tre campi: sanità, dematerializzazione, riorganizzazione degli enti, che da soli basterebbero tranquillamente a reperire ben più dei 5-6 miliardi che sarebbero necessari ai rinnovi, secondo stime sindacali.
A Forum Pa 2015 in un convegno sulla sanità digitale si è evidenziato, riportando gli studi dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, che risparmi dell’ordine dei 2 miliardi sono alla nostra portata nel campo della dematerializzazione dei referti, della cartella clinica elettronica e del famoso fascicolo sanitario elettronico. A questi si aggiungerebbero quasi 5 miliardi risparmiati dai cittadini in tempo, oneri e spese dirette, ma di questi non parliamo. Un risultato a portata di mano se si hanno piani e priorità precise, se il nuovo dg dell’AgId, Antonio Samaritani, sarà messo in condizione di lavorare, se si mettono in piedi serie ed efficaci partnership pubblico-privato.
Ancor più promettenti le cifre di risparmi con la dematerializzazione di alcuni processi, ad esempio la fatturazione elettronica. Sempre secondo le stime degli Osservatori del Politecnico di Milano questa consente alla Pa un risparmio di circa 17 euro per ogni fattura ricevuta, mentre per i fornitori della Pa si stimano benefici compresi tra 6 e 8,5 euro per ogni fattura. Ma la completa digitalizzazione del ciclo dell’ordine porterebbe una riduzione del costo del processo tra 25 e 65 euro a ciclo. Complessivamente l’introduzione della fatturazione elettronica consentirà un beneficio economico di circa un miliardo l’anno per la Pa. Benefici a cui sono da aggiungere circa 500 milioni di risparmi legati all’aumento di produttività delle imprese. I risparmi però potrebbero crescere fino a 6,5 miliardi l’anno, se da questo primo step si riuscisse a raggiungere la digitalizzazione dell’intero ciclo procure to pay della Pa.
C’è poi molto da fare per disboscare le oltre 60mila unità locali della Pa (oltre 5mila solo gli uffici periferici dei ministeri) e le quasi 8mila partecipate con 55mila cariche sociali. Difficile calcolare esattamente i risparmi, ma prendendo in esame solo la razionalizzazione degli spazi usati dalle Pa, Roberto Reggi, capo dell’agenzia del Demanio, stima un risparmio di oltre un miliardo l’anno, e Cottarelli in almeno 2-3 miliardi l’anno il risparmio derivato dalla razionalizzazione delle partecipate.
Per le prime due aree di intervento non abbiamo bisogno di nulla, tranne che fare le cose già decise con normativa primaria e secondaria; per la razionalizzazione degli enti c’è una parte della “legge Madia” alla Camera che la definisce e c’è l’impegno del ministro Madia, ribadito proprio a Forum Pa, di arrivare entro l’anno ai decreti attuativi.
Ma i risparmi non si possono fare senza eliminare le aree di privilegio e senza coraggiose azioni che smantellino situazioni di comodo e singoli “egoismi” di enti figli di altri tempi e di altre logiche: non si può fare senza la constatazione che non c’è né ci potrebbe essere altra Pa che quella digitale.
Insomma, l’anno prossimo, se proprio devono venire a protestare come hanno fatto quest’anno, vorrei che i sindacati di base chiedessero a gran voce la fine dei privilegi, l’innovazione digitale, il disboscamento degli enti inutili, la realizzazione effettiva dei progetti mille volte annunciati. Le grida luddiste invece saranno, come sempre, un gran regalo a chi vuole lasciare tutto com’è.
Il Sole 24 Ore – 15 giugno 2015