Nel 2030, ventisei lavoratori su cento in Italia avranno un’età compresa tra i 55 e i 64 anni, a fronte del 15 attuali. Le aziende quindi dovranno tener conto di questa evoluzione della forza lavoro e cambiare l’approccio nella gestione degli over 55.
Un risultato determinato dall’invecchiamento della popolazione e dal fatto che il tasso di attività dei 55-64enni è già passato dal 32% del 2005 al 50% del 2014 e arriverà al 67% tra quindici anni, ha spiegato ieri Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università cattolica di Milano nel corso del convegno “Age management, conoscere la propria azienda per farla crescere” organizzato da Umana in collaborazione con Il Sole 24 Ore. «Solo affrontare oggi la questione dell’età nelle aziende – ha affermato Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana – consentirà di adottare quegli strumenti per governare l’impatto generazionale, il trasferimento delle competenze, l’obsolescenza dei saperi nelle imprese. Ma è necessario capovolgere la prospettiva di analisi. L’invecchiamento è un problema e un costo solo se lo si subisce».
A questo riguardo, Giovanni Boniolo, docente presso il dipartimento di scienze della salute dell’Università di Milano, ha analizzato le ragioni che possono spingere a una gestione etica dell’age management, evidenziando che dall’etica del profitto si sta passando al profitto dell’etica e comportarsi bene premia e determina effetti economici diretti.
«L’age management – ha sottolineato Annamaria Ponzellini, sociologa del lavoro – è legato direttamente alla produttività di un’azienda, proprio in un momento in cui le imprese vivono un pesante deficit in questo senso. Si deve quindi aumentare la produttività, investendo sul capitale umano, ma si deve tener conto, per esempio, che i lavoratori oltre una certa età sono meno interessati a fare formazione, è una questione culturale». Sul fronte macro, invece, è fondamentale che le persone in età avanzata partecipino al mercato del lavoro, mentre oggi gli over 55 che perdono l’impiego hanno grandi difficoltà a trovarne uno nuovo.
Colpa anche di un sistema di welfare sbilanciato sugli ammortizzatori sociali a danno delle politiche attive. «L’attuale modello di welfare – ha affermato Pierangelo Albini, direttore area lavoro e welfare di Confindustria – non sarà più sostenibile di fronte all’evoluzione demografica. Vanno cambiati gli equilibri tra politiche attive e passive e si deve costruire un sistema che consenta di investire sull’impiegabilità delle persone anche perché per gli over 55 non ci sarà più un lungo scivolo fino alla pensione utilizzando gli ammortizzatori sociali».
Il Sole 24 Ore – 9 giugno 2015