di Roberto Turno. Una raffica di rilievi sulla riforma della dirigenza. La richiesta di un passo indietro sulla modifica delle regole sulla responsabilità amministrativo-contabile dei dirigenti. Un nuovo pressing per sollecitare il riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche (mancano gli obiettivi di risparmio) e dei servizi pubblici locali. Invitata ieri alla Camera a dire la sua sul Ddl delega per la riforma della Pa, la Corte dei conti ha ribadito tutti i suoi dubbi sul testo arrivato da palazzo Madama, che entro fine mese arriverà in aula. La relazione
Le obiezioni
La dirigenza, capitolo cruciale della riforma, resta dunque sugli scudi. E qualcuno mormora perché tanto, come spesso accaduto, la grande burocrazia difende sempre sé stessa. In verità la Corte dei conti, rappresentata ieri in commissione Affari costituzionali dal presidente Raffaele Squitieri, non s’è limitata ad avanzare rilievi, anche se non delle vere e proprie censure. La magistratura contabile ha infatti riconosciuto che il testo orginario contiene parecchie e importanti novità e che nell’esame del Senato sono state accolte non poche delle osservazioni che aveva avanzato. Quel che funziona, di massima, è l’impianto-auspicio generale, come gli aspetti che dovrebbero snellire i procedimenti, spianando la strada all’accesso ai servizi, dalla digitalizzazione alla previsione di “punire” le amministrazioni che stanno con le mani in mano nel processo di cambiamento del dinosauro burocratico. Resta il fatto che, prima ancora di sollevare le sue obiezioni, la Corte dei conti ieri ha voluto sottolineare due aspetti che le stanno molto a cuore. Il primo: la necessità, una volta “fatta” la legge, di emanare rapidamente i decreti delegati, in quanto «eventuali ritardi potrebbero incidere negativamente sul recupero di competitività dell’intero sistema produttivo».
Che cosa manca
Il secondo aspetto sottolineato è quello di non aver colto nel testo la necessità di porre il problema di disegnare un diverso «perimetro» della Pa, di cui la Corte nei suoi rapporti si fa interprete da tempo. Intanto, in merito alla riforma della dirigenza pubblica, gli aspetti critici, secondo la Corte, sono ancora numerosi. A partire dalla necessità di «contemperare» la flessibilità organizzativa con l’«autonomia» della dirigenza dalla politica. Per nono dire dei modi individuati per selezionare chi avrà incarichi dirigenziali: il Ddl, non considera come dovrebbe le «competenze specifiche» dei candidati. Autonomia e capacità, dunque. Ma anche le pastoie che rischiano di crearsi con la gestione dei ruoli unici (da cui dovrebbero essere esclusi i prefetti), il rapporto poco chiaro tra legge e contrattazione collettiva sul trattamento economico. E gli stessi dubbi di costituzionalità legati al ruolo unico anche per i dirigenti di regioni e comuni. Quanto basta, alla Corte dei conti, che c’è parecchio da rivedere. Sempre che sia rivisto. Come il nuovo regime delineato per la responsabilità amministrativo-contabile. Aspetto che la Corte contesta apertamente, scorgendo anche un vulnus nei propri confronti. Ma anche dell’erario. Nella audizioni di ieri sono sfilati anche i rappresentati di sindacati, Anci, Upi, della Direzione antimafia e delle Regioni. Anche da queste ultime rilievi sul nodo dirigenza, con la richiesta di rispetto dell’autonomia degli enti sul reclutamento e il conferimento di incarichi dirigenziali.
Corte dei conti: dubbi sulla revisione della responsabilità contabile dei dirigenti. Timori su possibile incremento dell’uso discrezionale di incarichi a esterni
di Nicola Barone. «Suscita forti perplessità la previsione di una revisione, con quella sulla responsabilità dirigenziale, della disciplina della responsabilità amministrativo-contabile». Così il presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri, all’audizione sulla riforma Pa in commissione Affari costituzionali della Camera. «Non si può non sottolineare – ha spiegato Squitieri – come la materia della responsabilità per danno erariale, come precisato dalla Corte costituzionale, attiene all’ordinamento civile e non all’organizzazione amministrativa e appare, quindi, esorbitante dall’oggetto dell’intervento legislativo all’esame».
La salvaguardia delle prerogative dei giudici contabili
Sempre in occasione dell’audizione a Montecitorio, il presidente della Corte ha evidenziato come «pur se il criterio dell’esclusiva responsabilità dei dirigenti per l’attività gestionale si ponga quale naturale corollario della separazione delle attività di indirizzo politico da quelle di amministrazione attiva, lo stesso necessita di essere declinato salvaguardando l’autonomia dei giudici contabili nel ricostruire le fattispecie di danno e nell’individuare i presupposti oggettivi e soggettivi per l’esistenza di una responsabilità patrimoniale».
Rischio maggiore con il ricorso a dirigenti esterni
La previsione «di un ampliamento delle ipotesi di mobilità tra le Pa e tra queste e il settore privato» suscita «perplessità, in quanto potrebbe prefigurare un più ampio discrezionale ricorso al conferimento di incarichi dirigenziali a esterni», ha detto ancora il presidente Squitieri. Allo stesso tempo la Corte dei conti mette in guardia sulla «difficoltà della concreta gestione dei ruoli unici» della dirigenza pubblica, visto che «rischia di innescare una sorta di conflittuale concorrenza tra le diverse amministrazioni per l’individuazione dei candidati migliori».
Procuratore Antimafia: valutare l’efficienza delle intercettazioni
Nel giro di audizioni è stato sentito dalla commissione Affari costituzionali anche il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, per il quale occorrerebbe valutare con attenzione se non siano in pericolo «la continuità e l’efficienza delle attività intercettative». Il punto riguarda il taglio del 60% sia delle tariffe riconosciute ai gestori telefonici sia degli apparecchi necessari per catturare il segnale previsto dal ddl di riforma della Pa. Roberti ha spiegato come «la riduzione andrebbe a operare sul ristoro dei costi e, sostanzialmente, si chiede ai gestori di rinunciare non a parte del “guadagno” ma a parte dei costi sopportati». Perciò la misura potrebbe comportare una «una seria contrazione degli investimenti, da parte dei gestori, nelle attività svolte ad assicurare con massima precisione e tempestività l’adempimento delle prestazioni obbligatorie».
Il Sole 24 Ore – 4 giugno 2015