Ma chi ve l’ha fatto fare a essere presenti all’Expo, non era meglio starvene tranquilli a vendere i vostri hamburger? Dopo l’anatema del guru di Slow Food, Carlin Petrini, che ha accusato la McDonald’s di fare dumping alimentare, ovvero di spacciare nutrizione scadente a prezzo basso, è quasi d’obbligo girare questa domanda a Roberto Masi, amministratore delegato di McDonald’s Italia.
«La domanda ce la siamo posta ma non ci stiamo a continuare a fare la figura della multinazionale-diavolo — replica —. Vogliamo essere pienamente accettati, direi amati, perché facciamo parte del paesaggio popolare di questo Paese. E allora vogliamo difendere i nostri clienti che non devono sentirsi in colpa o sfigati perché mangiano hamburger e patatine. La vuol sapere la verità? La carne che si consuma da noi è la stessa che si vende nei supermercati frequentati dalla buona borghesia milanese e dai radical chic. E allora perché discriminare i nostri clienti?».
Masi sostiene il carattere nazional-popolare di McDonald’s ma ammette che in passato loro stessi hanno sbagliato ad accettare passivamente le accuse della sociologia di ispirazione no global, a cominciare dal famoso libro di Ritzer sulla mcdonaldizzazione del mondo. Basta pensare al termine «mcjob» che identifica tutt’oggi il lavoro povero, dequalificato, quello che i giovani accettano solo perché non trovano niente di meglio. «Mcjob? Mi fa ridere. Da noi non esiste un solo posto di lavoro irregolare mentre leggo le denunce della Cgil secondo le quali nell’alberghiero in Italia il 30% del lavoro è in nero. Chi sfrutta chi?».
McDonald’s non è solo sinonimo di globalizzazione ma siete accusati anche di aver contribuito ad aumentare nel mondo e in Italia il numero degli obesi.
«La globalizzazione non è un male ma è stata troppo veloce. Non eravamo pronti ad affrontarla e oggi va calmierata. Quanto agli obesi è vero che in Italia il fenomeno è in preoccupante crescita, ma noi abbiamo appena il 2% del mercato e le pare possibile che sia colpa nostra? I dati poi dicono che la regione italiana più colpita è il Molise e lì il primo ristorante lo abbiamo aperto un anno fa».
Ma lei onestamente porterebbe suo figlio a mangiare nei Mc-ristoranti tutti i giorni?
«Mio figlio ha 4 anni, da noi mangia un toast, patatine fritte e acqua. Detto questo non lo porterei più di due volte alla settimana. Ma non chiedo a nessuno di venire a mangiare da noi più frequentemente perché penso che il cibo vada variato e infatti abbiamo introdotto frutta e verdura, insalate, carni bianche. E anche la caffetteria. Lo sa perché vendiamo i caffè? Per farci sentire italiani ed essere accettati di più».
Petrini dice che i vostri hamburger sono fatti con carne di mucche spremute da anni di mungitura e così li potete vendere a prezzo bassissimo.
«La carne che viene da mucche che per 4-5 anni hanno dato latte la trova da noi così come nella stragrande maggioranza dei ristoranti italiani. Possiamo venderla a prezzi bassi perché ne compriamo quantità enormi. Le materie prime pesano per il 28% nel nostro bilancio, il costo del lavoro 45%. Il nostro modello di business è centrato sul servizio e non sul prezzo della carne. E comunque nessuno di voi nei ristoranti da 40 euro chiede se l’insalata viene dalla Repubblica Ceca o dalle colline toscane».
Il vostro quindi è un business di volumi e non di qualità?
«Sì, siamo come Ikea, Zara, i discount. Per questo vogliamo essere amati, vogliamo che un italiano almeno una volta l’anno passi da noi. E vogliamo ridare all’Italia una parte di quello che prendiamo. Perciò scegliamo fornitori italiani e anche i nostri dirigenti lo sono. E creiamo mille posti di lavoro l’anno. Petrini queste cose le sa?».
Cominciate a compilare un bilancio etico e di sostenibilità e anche lui le saprà.
«Abbiamo proprio intenzione di farlo».
Che ne pensa dei grandi chef? Fanno del bene al cibo?
«Fanno cose fantastiche, ma la spettacolarizzazione e la cucina snob non mi piacciono. Quanti pasti fa al giorno uno chef come Cracco? Mettiamo 100, noi 800 mila. E chi l’ha detto che i nostri clienti sono di serie B e i suoi di serie A?».
E di Slow Food cosa pensa? È il diavolo?
«Anch’io delle volte mangio prodotti che sono presidi Slow Food, del resto siamo americani e la democrazia ci piace. Ma la filosofia di Petrini porta alla nicchia, al cibo buono per soli ricchi e fa restare l’Italia fanalino di coda dell’industria alimentare globale».
Dato che siete dentro Expo pensate di firmare la Carta di Milano che piace tanto anche ai no global?
«La stupirò ma l’abbiamo letta punto per punto e pensiamo di essere pienamente in linea con i suoi dettati. Quindi stiamo valutando con la casa madre la possibilità di firmarla. Sappiamo che in qualche aspetto dobbiamo migliorare e penso agli imballaggi e allo smaltimenti rifiuti, ma in altri campi possiamo insegnare qualcosa. Quali? Penso proprio al lavoro, altro che mcjob!»
Il Corriere della Sera – 31 maggio 2015