Alessandro Barbera. Addio ai cassintegrati di lungo corso, ai derogati, ai mille tavoli di crisi al ministero dello Sviluppo, agli imprenditori furbetti, ai privilegiati ai quali concedere – a loro e solo a loro – sette anni di sussidio solo perché dipendenti della vecchia Alitalia. I tecnici di Palazzo Chigi hanno terminato di scrivere gli ultimi quattro decreti delegati del Jobs Act: riforma della cassa integrazione, dei centri per l’impiego, ispezioni e semplificazioni normative. Se la legge verrà rispettata, la nuova «Cig» dovrà tornare a svolgere la funzione per cui era nata, quello di sussidio temporaneo in caso di crisi.
La nuova cassa non potrà durare complessivamente più di tre anni, e le aziende non potranno utilizzarla come un bancomat. In compenso verrà allargata a tutte le imprese sopra i cinque dipendenti e agli apprendisti. Funzionerà come il contratto di assicurazione della macchina: più se ne fa uso, più la si paga. Se ad esempio verrà chiesta per tre anni, le imprese dovranno pagare fino al 15 per cento in più dei contributi. La cassa non potrà più essere nemmeno un surrogato del sussidio di disoccupazione; dalla entrata in vigore del decreto sarà vietata anche nel caso di chiusura dell’attività. Le piccole imprese, quelle che dal 2008 in poi hanno attinto generosamente alla cassa in deroga, dovranno versare un contributo ad un fondo ad hoc come le aziende più grandi. Il ministro Poletti ha anticipato le nuove regole ai sindacati, che non apprezzano. Ma il governo non sembra intenzionato a cambiare alcunché. Qui si tratta di decreti delegati: significa che Renzi ha avuto l’ok del Parlamento a legiferare dentro ad un recinto di principi. Ora quei decreti tornano alle Camere solo per un parere.
Strette le viti della cassa integrazione, le nuove regole allargheranno quelle dell’assegno di disoccupazione. La Naspi (acronimo di «Nuova assicurazione sociale per l’impiego») dovrebbe essere garantita a tutti i disoccupati per due anni, a patto che i lavoratori non rifiutino eventuali proposte di lavoro e accettino programmi di riqualificazione. A Palazzo Chigi dicono che per la Naspi allargata non ci sarà bisogno di nuovi fondi; verrebbero trovati dentro ai risparmi dalla riforma della cassa. I sindacati sono convinti che non basteranno. Molto dipenderà da come va l’economia: meglio andrà, più basso sarà il costo della cassa, più alto sarà il margine per finanziare il nuovo sussidio di disoccupazione. L’ultima parola sulle coperture spetta ora alla Ragioneria, che sta valutando costi e risparmi di ciascuno dei quattro decreti attuativi.
L’ultimo pilastro fondamentale del nuovo mercato del lavoro è la riforma dei centri per l’impiego, uffici finora gestiti dalle Province e in molte parti d’Italia utili a tutto fuorché aiutare giovani e disoccupati a cercare occupazione. Poiché le Province stanno (più o meno) chiudendo e le Regioni hanno deciso di muoversi in ordine sparso (alcune manterranno gli uffici in capo ai consorzi di Comuni, altre li assegneranno alle città metropolitane, altre ancora alle Regioni) il governo li finanzierà attraverso convenzioni ad hoc con ciascuna Regione firmate dalla nuova agenzia unica nazionale per l’impiego. Le convenzioni serviranno (almeno nelle intenzioni degli estensori) a garantire alcuni standard minimi e a costringere le Regioni a richiedere i fondi europei (spesso persi per incuria) per finanziare gli stessi centri. Con la riforma della cassa ci dovrebbero essere poi i fondi per finanziare i voucher per il lavoro, buoni già introdotti in via sperimentale con i quali una persona potrà presentarsi in qualunque centro per l’impiego privato e ottenere una consulenza.
La Stampa – 30 maggio 2015