Marco Zatterin. Nelle previsioni di primavera che la Commissione Ue pubblica stamane non si parla di buco previdenziale. Bruxelles non ha fatto in tempo a valutare il caso e così l’Italia che emergerà dal documento continuerà ad assomigliare molto a quella disegnata dal governo Renzi: crescita deboluccia nel 2015 (circola l’indiscrezione di +0,6) ma in ripresa nel 2016 (+1,4%), deficit sotto controllo (2,6% del pil nel 2015 e 2 nel 2016), debito stellare sebbene non insostenibile (133%), disoccupazione inchiodata al 12,4 (secondo le bozze di lavoro).
La questione delle pensioni è un’incognita lasciata al futuro. Vale una dozzina di miliardi per il 2012-15 che potrebbe far saltare l’armonia europea dei conti. «Nei prossimi giorni scriveremo al governo per avere chiarimenti su cifre e piani», annuncia una fonte al corrente del caso. È la procedura: «Con tutto il rispetto non ci bastano i giornali».
È tornata una qualche incertezza nei palazzi comunitari. Il messaggio fatto circolare ieri dai tecnici europei è che «qualsiasi cosa cambi gli obiettivi di bilancio del documento di programmazione finanziaria, dovrà essere compensata». Ogni scostamento eventuale andrà corretto e sul come non ci sono ricette univoche. La sentenza della Consulta stabilisce l’incostituzionalità dei tagli, senza entrare nel come si possa intervenire. Gli sherpa del ministro dell’Economia potranno trovare diverse vie per correggere la rotta. Anche se i margini, fanno notare a Bruxelles, sono davvero parecchio stretti. Il Def inviato all’esecutivo Ue il 28 aprile prevede un rapporto deficit/pil del 2,6% il 2015, dato che la Commissione appare orientata a confermare. Vuol dire che l’Italia ha un margine di 6 miliardi per restare sotto la soglia venerata del 3 per cento. Ciò spiega perché i numeri fanno la differenza e come mai la Commissione inviterà Roma a chiarire il quadro, visto che con 10 miliardi di aggravio salterebbe la quadratura del bilancio nella chiave comunitaria e buona parte del Def dovrebbe essere oggetto di relativo ripensamento.
Una valutazione cruciale riguarda la competenza degli arretrati per gli anni 2013-15. A Roma è diffusa la convinzione che, trattandosi di esercizi passati, si andrebbe direttamente ad aumentare il debito senza toccare il deficit, sul quale graverebbe solo la parte del 2015 e degli anni seguenti in prospettiva. Se confermata, si tratterebbe di 3-4 miliardi, dunque di 2-3 decimi di punto di pil di aumento del fabbisogno. Il 3% sarebbe salvo.
Desiderosi di pesare i numeri e di sapere come al Tesoro si intenda correggerli, gli esperti Ue vogliono essere rassicurati. Spiega una fonte che, dopo un esame letterale del regolamento 549/2013 sui conti pubblici degli stati, appare «inequivocabile che tutto pesi sul deficit 2015» anche se già si immagina che «probabilmente la tireranno per le lunghe chiedendo una “interpretazione” della regola». Perciò «bisogna aspettare di leggere la sentenza e avere la determinazione dell’importo». Una decisione in un senso, o nell’altro, fa ben la differenza.
Nell’attesa l’onda lunga della riforma del governo Monti infiamma il dibattito politico. «Non abbiamo in previsione di mettere patrimoniali o altre tasse, noi le tasse vogliamo ridurle», assicura il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, mentre il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, chiede proprio una tassa sulle fortune per porre fine alla discriminazione fra i contribuenti. «Qualunque sarà la scelta del governo sarà ispirata a due principi: tenuta dei conti ed equità», assicura all’Adnkronos il responsabile economico del Pd Filippo Taddei. In effetti, è il minimo indispensabile.
La Stampa – 5 maggio 2015