Elio Borgonovi*. E’ noto che i comportamenti individuali delle persone non sono guidati solo dalla razionalità, ma anche da sentimenti, emozioni, passioni, fedi più o meno religiose o laiche. O almeno, io non appartengo alla schiera di coloro che costruiscono teorie e danno suggerimenti di politiche basati sul principio/dogma della “razionalità” economica, delle imprese, dei manager, dei mercati.
Tantomeno sono guidati dalla semplice razionalità i comportamenti sociali, politici, dei governi. Tuttavia, ritengo importante tare ordine nelle politiche economiche e sociali di un Paese. Pertanto, provo a mettere in fila, non oso dire fare ordine, tra alcune considerazioni relative alle politiche sul sistema di tutela della salute. Credo che nessuno possa contestare il fatto che una ripresa economica strutturalmente stabile debba poggiare sull’economia reale e non sull’economia finanziaria o virtuale che si è dimostrata estremamente volatile nell’ultimo decennio, e in modo drammatico dopo la crisi scoppiata nel 2007.
Altrettanto indiscutibile è il fatto che l’economia che ruota attorno ai bisogno di salute rappresenti una parte importante dell’economia reale, visto che rappresenta oltre il 9% del Pil e circa il 12% se si considerano anche i settori delle imprese collegate alla filiera della salute.
Una seconda considerazione riguarda le politiche per la ripresa economica. Il governo Renzi per primo ha attuato politiche finalizzate al rilancio dei consumi interni, il famoso provvedimento sugli 80 euro in busta paga e a livello mondiale, e sono state attuate politiche per il sostegno della domanda aggregata (consumi più investimenti pubblici in infrastrutture e privati). Anche l’uscita dalla fase di austerity in Europa si basa sul presupposto di rilanciare i consumi (richiesta forte nei confronti soprattutto della Germania e dei Paesi con finanze pubbliche stabili) e gli investimenti (piano Junker). È altrettanto indiscutibile che in una società che si dichiara progredita la tutela della salute rappresenta un diritto, un bisogno. e, cosa non marginale, una grande area di consumo. Consumi che, tra l’altro, sono meno volatili di altre tipologie di consumi soggetti a mode, in quanto sono legati a elementi strutturali quali l’allungamento della vita, la possibilità di affrontare con successo i problemi della disabilità, della cronicità, di traumi gravi ecc. Il problema, quindi, è quello di come finanziare la filiera dei servizi di tutela della salute in presenza di difficoltà della finanza pubblica.
Infatti, se si attuano politiche di riduzione della spesa pubblica senza una chiara strategia di sviluppo, il risultato inevitabile è quello di ridurre i livelli assistenziali o di trasferire parte del finanziamento alle famiglie, o alle imprese, con l’effetto di ridurre le disponibilità per altri consumi privati. Ovviamente chi sostiene le politiche di contenimento, se non la riduzione della spesa per la tutela della salute non è cosi sprovveduto e motiva questi interventi con l’esigenza di eliminare sprechi, inefficienze, corruzioni, il che consentirebbe almeno di non ridurre i livelli di assistenza. Gli interventi di razionalizzazione sono più facili da dichiarare, proclamare, inserire in leggi o decreti, che non da attuare, perché le storie di successo delle imprese raccontano che interventi di razionalizzazione e recupero della competitività sono stati possibili tramite l’uso congiunto della leva del contenimento dei costi e di quella degli investimenti per lo sviluppo. Le imprese di successo sono quelle che nei periodi di crisi hanno saputo mantenere elevati livelli di investimenti in ricerca, formazione del personale, sviluppo di nuovi prodotti e di nuovi mercati.
E’ possibile fare qualcosa di simile anche per il sistema di tutela della salute? La risposta è positiva a una condizione. Le politiche di contenimento della spesa (non importa se con tagli lineari o, sarebbe meglio, tramite una vera spending review) devono essere inserite in una chiara visione di investimenti per lo sviluppo di un settore che può diventare trainante per l’intera economia. Una strategia che si fonda su una considerazione altrettanto semplice: il settore della tutela della salute è caratterizzato da elevata intensità di lavoro (il che può aiutare ad avere una crescita con recupero di occupazione), un’elevata intensità di conoscenze e forti interazioni con molte imprese che a loro volta operano in settori nei quali si sviluppa l’innovazione continua (es. imprese dei dispositivi medici, progettazione di ospedali e altre strutture di offerte, logistica, informatica integrata, gestione di big data, per non parlare del grande settore farmaceutico).
Un’ultima considerazione che si ritiene opportuno portare all’attenzione dei policy maker riguarda le possibilità di investimenti. In un periodo di bassi tassi, o addirittura di tassi negativi, per gli investimenti finanziari, molti investitori istituzionali possono trovare nella filiera della salute opportunità di investimenti con interessanti prospettive di reddito. Investimenti che possono riguardare il rinnovamento del patrimonio di ospedali e altre strutture di offerta con la possibilità di ridurre i costi per la gestione del calore, l’illuminazione, la pulizia ecc.
Investimenti che possono riguardare nuove attrezzature o il rinnovo di attrezzature obsolete con miglioramento della qualità dei servizi, maggiore sicurezza per i pazienti e gli operatori, riduzione dei costi di gestione, la logistica dei materiali che può ridurre i costi di approvvigionamento e mantenimento di scorte e ultimi, ma non meno importanti, investimenti nelle piccole e medie imprese che hanno sviluppato applicazioni per il sistema di tutela della salute e che sono così numerose in Italia in vari distretti quali Mirandola, Pomezia, Siena, Firenze, Milano e altri.
Ad esempio, i fondi pensione che gestiscono capitali di molti italiani o altre società di gestione del risparmio possono, e anzi dovrebbero, prendere in seria considerazione la possibilità di garantire capitali “pazienti” alla filiera della salute, che non mirano ad alti rendimenti speculativi ma con elevato rischio, ma a rendimenti compatibili con la loro missione istituzionale e con i lo ro vincoli di statuto. Forse è giunto il momento di cambiare orientamento e strategia rispetto al periodo del tumultuoso sviluppo della finanza che garantiva rendimenti assai elevati, ma anche soggetti a elevati rischi, come hanno ben sperimentato molti fondi pensione degli Usa e di altri Paesi, che hanno perso ingenti capitali a causa della crisi del 2007-2008.
Affinché si possa realizzare in tempi rapidi questo ri-orientamento sono necessarie però alcune considerazioni: il Governo deve garantire una maggiore stabilità di prospettive per il settore, evitando continui tagli sulla sanità ed evitando di tassare proprio le istituzioni che possono garantire capitali pazienti (per tutti i fondi pensione), la modifica del titolo V della Costituzione deve essere realizzata evitando di creare scompiglio o ulteriore grave incertezza nel sistema, le politiche di contenimento dei costi devono proseguire guidate soprattutto da progetti concordati e controllati dagli investitori.
Non esiste migliore spending review rispetto a quella che può essere realizzata da soggetti esterni autonomi e indipendenti che hanno investito su precisi progetti sostenuti da business and financial plan credibili e convincenti e che ne controllano l’attuazione. Inoltre, progetti che devono partire da chi è direttamente responsabilizzato nel realizzarli, ossia le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere pubbliche e private, altri provider di servizi di tutela della salute. Assumere provvedimenti sotto le spinte delle urgenze e senza una strategia organica è il modo peggiore per contenere la spesa pubblica ed è il modo migliore per garantire l’ulteriore declino del Paese.
Elio Borgonovi presidente Cergas Bocconi – Il Sole 24 Ore sanità – 21 aprile 2015