Il Basso veronese, la zona a più alta concentrazione di allevamenti avicoli d’Italia, si è trovata nei giomi scorsi a fare i conti con un inaspettato ritorno, quello dell’influenza aviaria. Uno spettro che ogni tanto riappare in un’area che, in anni passati a causa dei virus aviari ha subito danni per centinaia di milioni di euro.
Uno spettro contro il quale però gli operatori veronesi della Bassa hanno sviluppato anche misure e strategie di contenimento. In seguito all’ultimo contagio, seppur a bassa patogenicità, in un agriturismo di Ca’ degli Oppi, località di Oppeano, sono state adottate misure di contenimento del virus che hanno portato alla creazione di una zona di sorveglianza nella quale sono vietate movimentazioni di pennuti e, nonostante l’opposizione del proprietario, sono stati abbattuti gli animali presenti nella struttura; galline, oche, anatre e pavoni.
Regole che sono state ribadite anche dallo stesso ministero della Salute. Il quale, in attesa di un apposito regolamento comunitario, ha ribadito le regole di prevenzione e biosicurezza che erano state stabilite con un’ordinanza datata 26 agosto 2005. «La normativa impone l’adozione di misure volte all’eradicazione del virus», spiega il dirigente del servizio veterinario regionale Giorgio Cester, «così come l’adozione di metodi di prevenzione del diffondersi della malattia, con zone di sorveglianza e divieti di accasamento e movimentazione».
«Le regole dettate dall’Unione Europea dicono che nel caso in cui si scopra la presenza del virus si deve procedere agli abbattimenti e questo è stato fatto», commenta il presidente di Unaltalia, l’associazione che riunisce la stragrande maggioranza dell’industria avicola nazionale, Aldo Muraro. Muraro che fornisce dati utili per capire la situazione del territorio nel quale il focolaio di aviaria si è manifestato. «In un raggio di otto-dieci chilometri c’è un centinaio di allevamenti», spiega il rappresentante del mondo avicolo, «il che significa che qui, in caso di diffusione del virus, potrebbe essere necessario abbattere più di un milione di animali con danni, solo in termini di mancati compensi, che sono ipotizzabili in 15 milioni di euro e con conseguenti rimborsi, il cui costo è a carico di Unione Europea e Stato, pari ad almeno 80 milioni di euro».
D’altro canto nell’unico caso in cui si è manifestata nel 2014 in Veneto l’aviaria – si trattava di un allevamento di tacchini di Porto Viro, nel Rodigino, in cui è stato trovato il virus ad alta patogenicità – in seguito all’uccisione dei pennuti è stato erogato più di un milione di euro di risarcimento del danno. «La provincia di Verona vale da sola il 15% dell’avicoltura nazionale, non essendo solo la più importante del Veneto, regione che copre il 40% della produzione italiana, ma di tutta Italia. Qui nel 2014 erano censiti quasi 1.100 allevamenti, di cui 480 di polli e 365 di tacchini, per un valore complessivo degli animali attestabile sui 500 milioni di euro», continua Muraro.
«L’influenza, che le aziende e gli allevatori hanno imparato ad affrontare ed a contenere ma che continua ad essere importata dai migratori, in particolare dagli anatidi, potrebbe avere conseguenze economiche davvero rilevanti. Per questo è necessario non fermarci mai nelle iniziative di contrasto».·
Luca Fiorin – L’Arena – 20 aprile 2015