Caso «Pfas»: il sindaco di Cologna Silvano Seghetto ha chiesto a chiunque abbia voce in capitolo, compresa l’autorità giudiziaria, di dirgli se la situazione è tale da rendere necessaria l’adozione di un’ordinanza specifica.
In seguito alle segnalazioni arrivate da un sodalizio che da tempo si sta occupando del problema, il Gruppo d’intervento giuridico, il primo cittadino ha deciso di provare a capire quale sia la reale situazione legata alle sostanze perfluoro-alchiliche (composti di origine chimica utilizzati per rendere impermeabili carta, stoffe e stoviglie ndr) e se è necessario adottare qualche misura.
Al centro dell’iniziativa non c’è l’acqua che viene distribuita nelle case con l’acquedotto pubblico, la quale viene trattata con impianti a carboni attivi ed è formalmente potabile, bensì quella del fiume Fratta Gorzone, che secondo i giuristi ambientali contiene i Pfas a causa dei reflui che vi vengono sversati dal «tubo». Ossia il collettore che trasporta a valle gli scarichi di cinque depuratori del Vicentino, nel quale corrono anche i Pfas «eliminati» da un’azienda di Trissino. «Nel Comune di Cologna vige dal 2005 un’ordinanza di divieto di utilizzo dell’acqua del Fratta Gorzone per irrigare le verdure da consumare crude», sottolinea Seghetto. «Di fatto», continua, «già prima di allora per nessuno, a Cologna, quel corso d’acqua era fonte di approvvigionamento a scopo irriguo. Tuttavia, visto l’allarme Pfas, mi è sembrato doveroso chiedere alle autorità competenti se e come è necessario intervenire».
Intanto, riguardo al Fratta Gorzone, resta fermo sulla carta il prolungamento del «tubo» sino al depuratore di Sabbion. Infatti, non sono disponibili cinque dei 15 milioni necessari per realizzare l’opera. In Regione, al momento, quei soldi non ci sono e resta solo una possibilità: il dirottamento su questo intervento dei fondi destinati ad un impianto di gassificazione di fanghi da realizzare ad Arzignano. LU.FI.
L’Arena – 16 aprile 2015