Dopo lo scandalo della carne di cavallo trovata negli hamburger venduti nei supermarket inglesi e irlandesi, risalente al 2013, è la volta delle scatolette e dei cibi umidi, paté gourmet e pappe dietetiche per cani e gatti. Residui di animali, tessuti e proteine differenti da quelli dichiarati sulle etichette sono stati trovati in 14 tipi di cibi umidi su 17 fra i più noti venduti nei supermarket inglesi dai ricercatori dell’università di Notthingam in uno studio pubblicato su Acta Veterinaria Scandinavica.
La scoperta sta facendo indignare ancora una volta gli inglesi, proprietari di cani e gatti “ma deve far riflettere tutti i cittadini europei e le industrie che producono cibi per animali affinché ci sia una maggiore trasparenza sulle etichette”, dichiarano gli studiosi.
I ricercatori hanno acquistato 17 prodotti fra i più popolari e li hanno sottoposti all’analisi del Dna. Ben 14 contenevano residui di Dna bovini, di maiale e di pollo in proporzioni variabili non elencati sulle etichette. Su sette cibi etichettati con la dicitura ‘con manzo’ solo due contenevano più Dna di carne bovina che di maiale e pollo, gli altri contenevano soprattutto maiale. In sei prodotti ‘al pollo’ la percentuale di Dna di pollo contenuta è risultata variare dall’1 al 100 % e in due prodotti quella di carne di maiale e manzo superava quella di derivazione ovina. Sulle etichette nessuna informazione in merito.
“Il problema deve interessare tutti i consumatori dell’Unione perché la legge europea non impone la tracciabilità completa dei cibi per animali e sull’etichettatura lascia margini decisionali. Non si tratta solo di mancanza di trasparenza per chi sceglie i cibi pronti per i propri animali, diviene particolarmente importante se si possiedono animali con allergie alimentari”, precisano gli autori dello studio. “Esistono delle linee guida e dei codici di buona pratica intrapresi in modo volontario dalla Federazione delle industrie europee dei cibi per gli animali domestici (Fediaf) ma, alla luce della nostra ricerca, non tutte le seguono. Ci vuole più chiarezza perché i consumatori possano fare scelte informate”.
Repubblica – 7 aprile 2015