di Dino Pesole. Tra tagli alla spesa, utilizzo della flessibilità europea sul versante delle riforme, un margine di deficit superiore al programmato 1,8%, una maggiore crescita e il prospettato risparmio sulla spesa per interessi, la manovra complessiva lorda per il prossimo anno si avvia a raggiungere quota 20 miliardi. Oggi il Consiglio dei ministri potrebbe limitarsi a un esame preliminare, mentre il varo dell’intero quadro programmatico (Def, Programma nazionale di riforma e aggiornamento del Programma di stabilità) slitterebbe a venerdì. I comuni sono sul piede di guerra.
Il Def che verrà approvato con ogni probabilità martedi, mentre il via libera al Programma nazionale di riforma è atteso per venerdì, traccia il percorso programmatico su cui impostare la legge di Stabilità del prossimo autunno. Una manovra che, dopo un triennio di recessione, dovrebbe segnare il ritorno a tassi di crescita nei dintorni dell’1,5%, contro lo 0,7-0,8% previsto per l’anno in corso, con il deficit nominale che dal 2,6% del 2015 è atteso ridursi appunto nei dintorni dell’1,8 per cento. Da qui la riflessione in corso all’interno del governo sul possibile utilizzo di un margine di deficit dello 0,4%, con l’asticella che potrebbe di conseguenza attestarsi attorno al 2,2%, aprendo in tal modo spazi di manovra per recuperare risorse destinate alla coperture di nuove spese. In primo luogo, al finanziamento nel 2016 della decontribuzione per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato.
Si prospetta in sostanza una manovra costituita da una serie di addendi, con l’obiettivo di evitare nuovi aumenti della tassazione, sostenere la ripresa e avviare già dalle prossime settimane la trattativa con Bruxelles. Non a caso, il testo del Programma nazionale di riforma è oggetto in queste ore di attento esame e limatura da parte dei tecnici di palazzo Chigi e dell’Economia. È proprio sulla base delle stime da inviare alla Commissione europea relativamente all’impatto di ogni singola riforma in termini di aumento del Pil potenziale, che si potrà calibrare lo “sconto” sul percorso di riduzione del deficit strutturale. Se applicata integralmente, la clausola di flessibilità sulle riforme potrebbe valere tra i 7 e gli 8 miliardi, con il pareggio di bilancio che slitterebbe dal 2017 al 2018.
La maggiore crescita, qualora effettivamente si riuscisse a raggiungere quest’anno quota 1% e l’1,5% il prossimo, è l’altro fondamentale atout sul quale punta il governo per rafforzare la tenuta dell’intero quadro macroeconomico, a partire dal debito.
Il target del 124,6% dovrebbe essere conseguito nel 2018 anche grazie al prospettato piano di privatizzazioni pari allo 0,7% del Pil l’anno (circa 11 miliardi) nel periodo 2015-2018.
Una volta ricevuti dal governo il Def, il Pnr e l’aggiornamento del Programma di stabilità, la Commissione europea esprimerà il suo giudizio a maggio, mentre ai primi di giugno si pronuncerà l’Ecofin. In caso di via libera, si aprirà la procedura prevista dalla «Comunicazione sulla flessibilità», resa nota dall’Esecutivo comunitario lo scorso 13 gennaio. Sarà la stessa Commissione a raccomandare all’Ecofin di concedere più tempo per raggiungere l’obiettivo di medio termine, in sostanza la possibilità di «deviare temporaneamente» dal percorso di aggiustamento strutturale. Deviazione che, appunto, non dovrà superare lo 0,5% del Pil, a patto che il deficit nominale resti comunque al di sotto del 3% e che il pareggio di bilancio venga raggiunto «entro i quattro anni coperti dal programma di stabilità dell’anno in cui è attivata la clausola».
Nel Def in via di approvazione si fa esplicito riferimento alle nuove, positive variabili esogene che – se accompagnate dalla piena attuazione di tutte le riforme messe in campo – possono effettivamente contribuire a stabilizzare il ciclo economico su un sentiero di crescita. In primo piano, l’effetto del Quantitative easing da 60 miliardi al mese della Bce, che ha ripercussioni anche sul cambio e dunque sulle esportazioni. Ma anche la boccata d’ossigeno che ne deriva sul fronte dei tassi e dello spread. Infine, il calo del costo del petrolio, le opportunità connesse al piano Juncker con il suo potenziale volume di fuoco di 315 miliardi di investimenti definiti strategici (ma con capitale iniziale di solo 21 miliardi di cui 13 effettivi). Infine, appunto, le opportunità offerte dalla nuova flessibilità europea sul versante della disciplina di bilancio.
Renzi: nessun aumento dell’Iva nel 2016, stop a nuove tasse
«L’Iva nel 2016 non aumenterà». E ancora: «Dopo tanti sacrifici, l’Italia può ripartire». Lo afferma il premier Matteo Renzi in una intervista al Messaggero, assicurando che nel Documento di economia e finanza che sarà approvato martedì dal Cdm «non ci sarà nessun aumento delle tasse». Renzi annuncia anche che sulle intercettazioni il governo è «pronto a intervenire» e ribadisce che l’Italicum alla Camera «non cambierà»
Renzi: l’Iva nel 2016 non aumenterà
«L’Iva nel 2016 non aumenterà», afferma Renzi, spiegando che le clausole di salvaguardia (aumento dell’Iva e delle accise sulla benzina) saranno probabilmente annullate «già con le misure contenute nel Def. Ad ogni modo è escluso «nel modo più categorico che ci sarà un aumento delle tasse». Non solo. In caso di eventuali ulteriori risorse a disposizione grazie alla spending review, una volta disinnescate le clausole di salvaguardia, «la priorità sarà per le famiglie e per rendere stabili gli incentivi alle imprese per assumere».
Di qui la necessità di continuare sulla strada delle riforme «perché dopo tanti sacrifici, e gli italiani ne hanno fatti anche troppi» è ora «che li faccia la politica». «Quest’anno – spiega il premier sul Def che il Cdm varerà martedì – abbiamo deciso di essere più prudenti e anche se in tanti prevedono una crescita superiore all’1%, abbiamo scelto di volare basso e stare allo 0,7%. Ma non è la percentuale che conta, i numeri interessano agli addetti ai lavori: la verità è che c’è un clima nuovo in Italia. Basta fare il pieno o chiedere un mutuo per capire che molto è cambiato».
«Fare Expo è un miracolo»
Renzi difende quindi il Jobs Act: «Il dato di fatto è che mai come in questo momento assumere conviene. Alla fine dell’ anno vedremo se i risultati sono quelli che speravamo o no». «Secondo le associazioni di categoria – dice poi sul bonus da 80 euro per i ceti medio-bassi – da due trimestri i consumi sono ripartiti. Ma chiariamoci: per far spendere di nuovo gli italiani, occorre la fiducia». Una chiave per la ripartenza è il «rilancio delle infrastrutture pubbliche e private». E in questa chiave il neoministro Graziano Delrio «farà benissimo». Mentre su Expo afferma: «Non credo che sia terribilmente indietro, ma con quello che abbiamo trovato, è un miracolo che questa Expo si faccia».
«Sull’Italicum non si torna indietro»
Quindi Renzi avverte la minoranza dem sull’ Italicum: «Indietro non si torna, sarebbe un bomba libera tutti». E su Bersani aggiunge: «Se qualcuno pensa di utilizzare una parola drammatica come scissione perché non è d’accordo su un dettaglio, peraltro secondario, di una legge elettorale, non è un problema mio. Chi vuole la scissione la vada poi a spiegare al popolo democrat». Sulle intercettazioni il premier aggiunge: «Il modo con il quale vengono diffuse da alcuni avvocati e alcuni magistrati, nonché da alcuni media, è francamente inaccettabile. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di intervenire con misure che non blocchino i magistrati e contemporaneamente consentano di soddisfare il sacrosanto diritto di cronaca. La soluzione è a portata di mano».
Dopo Pasqua il successore di Delrio alla presidenza del consiglio
Renzi userà la pausa pasquale per scegliere il successore di Graziano Delrio. Al posto di Delrio, trasferitosi al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, andrà quasi certamente, assicurano fonti di governo, un politico scelto per capacità di gestire i delicati dossier e non per lealtà al premier. E la decisione sembra ormai ristretta ad una terna di nomi, nessuno di stretta fede renziana: il viceministro Claudio De Vincenti, la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli ed il vicecapogruppo alla Camera Ettore Rosato. In particolare, sia De Vincenti sia Fedeli avrebbero il pregio di essere considerati vicini alla sinistra dem, quasi un messaggio di apertura in vista della prossima battaglia alla Camera sull’Italicum. Il premier vuole decidere entro i primi giorni della prossima settimana.
Il rebus del ministro Ncd e il rinnovo delle commissioni
Se la casella del sottosegretario alla presidenza del consiglio è per Renzi troppo importante per lasciarla vuota per troppo tempo, il premier è invece disposto a lasciare al leader Ncd Angelino Alfano tutta la riflessione che gli serve per decidere il ministro in quota Area popolare: decisione non semplice visto lo scontro interno al partito.
Sarà rinviata a dopo le regionali la “verifica” sui presidenti di commissione, prevista a due anni di legislatura. In gioco ci sono cariche di peso, sia del Pd sia di Fi, visto che la legislatura nacque all’insegna delle larghe intese. I renziani alimentano la minaccia che sono in bilico le sedie dei presidenti di minoranza dem, da Francesco Boccia a Cesare Damiano. Ma al momento il premier non avrebbe ancora deciso se avviare uno spoil system interno. Sembra invece più probabile che salteranno i presidenti di commissione targati Fi, visto che il patto del Nazareno è per ora stracciato. A meno che l’esito delle regionali non spinga Silvio Berlusconi a rivedere i rapporti con il premier e a tornare a sedersi al tavolo delle riforme.
Ultimi ritocchi al Def, il varo slitta a venerdì. I Comuni in trincea, Fassino chiede un incontro
Il governo incontri l’Anci prima del varo del Def, «in modo che si possa avere un confronto aperto e che possiamo avanzare le nostre proposte». La richiesta del presidente dell’associazione dei comuni e sindaco di Torino, Piero Fassino, che evidentemente punta a giocare d’anticipo anche per quel che riguarda gli effetti finanziari della Local tax, la nuova imposta sugli immobili che dal 2016 dovrebbe unificare Imu e Tasi, ma anche la necessità di meglio definire i dettagli dei testi all’esame dei tecnici di palazzo Chigi e del Tesoro, spingono per un «supplemento di istruttoria» prima del via libera definitivo. Oggi il Consiglio dei ministri potrebbe limitarsi a un esame preliminare, mentre il varo dell’intero quadro programmatico (Def, Programma nazionale di riforma e aggiornamento del Programma di stabilità) slitterebbe a venerdì. I comuni sono sul piede di guerra. «Si tenga contro soprattutto – osserva Fassino – che negli ultimi anni ci è stato chiesto uno sforzo finanziario notevole, proporzionalmente superiore rispetto a quello chiesto ad altri livelli istituzionali». A rischio sono i servizi essenziali, «asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare agli anziani, il trasporto pubblico locale».
In primo piano le nuove stime relative alla crescita. Al momento, e in attesa di quantificare più nel dettaglio sia l’effetto delle variabili esterne (dal quantitative easing al calo dei tassi), sia le variabili interne (l’impatto delle riforme in termini di incremento del Pil potenziale), il governo si attesterà su una linea di sostanziale prudenza. Per il Pil, si va verso lo 0,7%, target leggermente superiore allo 0,6% stimato a fine 2014. Nel 2016, la crescita dovrebbe consolidarsi in un range tra l’1,3 e l’1,5%, con il deficit che resterebbe fermo quest’anno al 2,6%, per ridursi nello scenario programmatico attorno all’1,8 per cento. Resta aperta la possibilità che con la manovra di bilancio del prossimo ottobre l’asticella effettiva venga elevata al 2,2%, aprendo in tal modo lo spazio a un utilizzo di parte del deficit per il finanziamento delle misure da inserire in legge di stabilità.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan punta a rafforzare il quadro di finanza pubblica attraverso la graduale riduzione del deficit nominale (lo scorso anno al 3% del Pil), ora garantita anche dalla maggiore crescita, senza con ciò pregiudicare le misure dirette al sostegno dell’attività economica. In parallelo, tra la primavera e l’estate partirà la trattativa con la Commissione europea – di cui si fa cenno nel Def – per spuntare ulteriori margini grazie alla «clausola di flessibilità sulle riforme». Spazio di manovra che si tradurrebbe in maggior tempo a disposizione per rispettare il timing di riduzione del deficit strutturale (al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum) in direzione del pareggio di bilancio. Se applicata integralmente, a fronte di un percorso di riforme strutturali con effetti certi e quantificati sul potenziale di crescita dell’economia, la clausola di flessibilità potrebbe valere fino allo 0,5% del Pil (7-8 miliardi), da utilizzare per il finanziamento delle riforme, con un ulteriore allungamento dei termini per raggiungere il pareggio, che slitterebbe dal 2017 al 2018.
La partita più impegnativa si conferma quella con i tagli strutturali alla spesa corrente. Nel Def si cifra il nuovo intervento in cantiere in 10 miliardi, destinati integralmente a disinnescare le clausole di salvaguardia (per il resto si farebbe fronte con il risparmio atteso dalla discesa dei tassi e dello spread). Si punta tuttavia anche più in alto. Qualora i risparmi della spending review dovessero risultare più corposi, con la crescita più sostenuta e le riforme in gran parte realizzate, l’intenzione – confermano fonti governative – è di utilizzare il margine aggiuntivo per interventi diretti alla riduzione della pressione fiscale, in primo luogo sul lavoro. Il ricorso a parte del maggior deficit nominale servirebbe a finanziare interventi, anch’essi qualificati come fondamentali per il sostegno alla crescita, tra cui la conferma (con criteri forse più selettivi) della decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato. L’Iva non aumenterà – assicura Matteo Renzi, e il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd) si augura che non si tratti solo di uno slittamento al 2017: «Le imprese devono avere la certezza che non c`è una spada di Damocle come l’aumento dell’Iva nemmeno nel 2017. Bisogna tagliare la spesa, è opportuno chiudere molte municipalizzate che non funzionano e tagliare la spesa centrale di alcuni grandi ministeri che non hanno fatto la cura dimagrante».
Il Sole 24 Ore – 6 aprile 2015