«Quest’anno ridurremo la spesa pubblica di circa 14 miliardi di euro, come era negli obiettivi. E l’anno prossimo andremo avanti, non solo per evitare che scattino le clausole di salvaguardia, cioè l’aumento dell’Iva, ma anche per dare continuità alla riduzione delle tasse sul lavoro che, nel 2016, salirà dai 18 miliardi del 2015 ai 22 del 2016», tenendo conto del bonus da 80 euro al mese e dell’andata a regime del taglio dell’Irap e degli sgravi sulle assunzioni.
Fresco della nomina a commissario per la spending review da parte del premier Matteo Renzi, Yoram Gutgeld sta mettendo a punto il menù dei tagli che finirà nel Def (Documento di economia e finanza), il piano che il governo approverà questa settimana.
Si tratta di 10 miliardi?
«L’obiettivo per il 2016 è questo, ma le cifre nel dettaglio saranno definite con la legge di Stabilità a settembre».
Dove taglierete?
«Ci saranno interventi diversi settori che però ci tengo a sottolineare non sono pensate con la logica dei tagli, cioè di far cassa, ma di migliorare l’efficienza. Per esempio, un capitolo importante sarà quello dei costi standard. Che verranno estesi dai comuni alle Regioni e alla sanità. Basta insomma con i trasferimenti sulla base del criterio della spesa storica. Metteremo tutte le spese on line e i cittadini potranno confrontare quanto una Regione o una Asl spende per una prestazione rispetto ad un’altra Regione o Asl. E gradualmente i centri di spesa dovranno convergere verso i costi standard».
Ai Comuni chiederete altri sacrifici?
«Andremo avanti con la razionalizzazione delle società partecipate. Entro il 31 marzo i comuni dovevano presentare un piano. Verificheremo e se non saranno sufficienti prenderemo ulteriori misure».
L’obiettivo è passare da 8 mila a mille partecipate?
«Non è tanto importante il numero finale, ma se queste società sono efficienti e in grado di erogare servizi a costi competitivi».
E per quanto riguarda la spesa centrale?
«Un filone fondamentale sarà l’attuazione della delega sulla pubblica amministrazione. Riorganizzeremo una struttura che ha ancora l’impronta napoleonica, con duplicazioni in ogni Provincia. Andremo verso la concentrazione di tutti gli uffici pubblici in un solo edificio per ogni città».
Tutto qui?
«Proseguiremo con la razionalizzazione dei corpi di polizia. Che non significa solo accorpare il corpo forestale in altre strutture, ma eliminare le sovrapposizioni di funzioni e di spesa che riguardano tutti i corpi di polizia a prescindere dal loro numero. Un capitolo importante riguarderà la spesa per beni e servizi, dove stiamo riducendo le centrali d’acquisto. Siamo partiti da oltre 20 mila e entro settembre, grazie agli interventi messi in atto, le ridurremo a qualche decina. Infine ci occuperemo anche delle spese di investimento».
Che negli ultimi anni sono molto diminuite, mentre sarebbero utili per la crescita.
«Sì, a patto che non contengano sprechi. Ecco perché renderemo operativi meccanismi di attenta valutazione degli investimenti, per evitare di buttare risorse in opere inutili. Nei trasporti ferroviari, per esempio, l’alta velocità è importante, purché non si faccia come la Roma-Milano che, realizzata per il trasporto merci oltre che dei passeggeri, è costata tantissimo senza che neppure un vagone merci vi transiti. Oppure, passando ai trasporti pubblici locali, bisogna generalizzare gli affidamenti del servizio con gara pubblica».
Ci saranno tagli delle prestazioni ai cittadini?
«Anche in questo caso non vogliamo tagliare per ridurre le prestazioni. Oltretutto la spesa sociale in Italia è inferiore alla media europea. Vogliamo invece spendere meglio. Ecco perché affronteremo il capitolo delle tax expenditures, cioè l’insieme delle agevolazioni, degli incentivi e degli sgravi fiscali per eliminare duplicazioni e voci inutili. Così come bisogna ricondurre a efficienza la spesa sociale, che assorbe 60 miliardi di euro l’anno, la metà dei quali invece di andare verso chi ha più bisogno si dirige a favore di chi sta nel 50% della popolazione più ricca».
Com’è possibile?
«È stata fatta analisi del profilo di chi riceve le prestazioni sociali e risulta che sono quelli col reddito relativamente più alto, nel senso che quelli davvero poveri, specialmente se non hanno famiglia, spesso neppure sono in grado di presentare le domande per le prestazioni cui avrebbero diritto».
Che pensate di proporre?
«Un primo settore sul quale intervenire sono le pensioni di invalidità. Ci sono troppe disparità per numero di prestazioni tra una Regione e l’altra, talvolta tra una Provincia e l’altra che non sono giustificate da ragioni socio-demografiche. Bisogna quindi vedere, in collaborazione con le stesse Regioni, come ricondurre a normalità le situazioni anomale, dove ci sono troppe pensioni di questo tipo. Un secondo filone riguarda la razionalizzazione delle stesse prestazioni assistenziali. Oggi le istituzioni che se ne occupano — Regioni, Inps, Comuni — non sanno l’una quello che fa l’altra e così finisce che una persona riceve tre prestazioni mentre un’altra, magari più bisognosa, nessuna. Accade anche perché parte delle prestazioni sono indipendenti dal reddito».
È il caso delle indennità di accompagnamento che, da sole, costano più di 13 miliardi l’anno. Pensa che andrebbero legate al reddito?
«In via di principio bisognerebbe andare in questa direzione, per concentrare le risorse su chi ha più bisogno, ma so che è un tema delicato. Si deciderà con la legge di Stabilità».
Il Corriere della Sera – 5 aprile 2015