Nelle trattative relative al TTIP, il Trattato commerciale di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’Unione europea sembra essersi infilata in un cul de sac, con una forza negoziale fortemente indebolita.
È quanto emerge da un documento del Servizio affari internazionali del Senato, che fa il punto della situazione, dopo l’ottava tornata di colloqui negoziali tra Ue e Usa, svoltasi a inizio febbraio, dopo due rinvii, e che nelle intenzioni della Commissaria europea al commercio, Cecilia Malmström, avrebbe dovuto segnare un nuovo inizio delle trattative. In realtà, l’unico risultato raggiunto sembra essere quello di aver fissato altri due appuntamenti negoziali prima dell’estate, durante i quali non saranno però affrontati i temi più spinosi, tra cui quello della possibile creazione di un sistema di arbitrato sovranazionale (ISDS), destinato a risolvere le controversie tra aziende e governi accusati di non rispettare le clausole del trattato, bypassando i sistemi giudiziari nazionali.
Infatti, si legge nel documento del Senato del febbraio di quest’anno, «nessun passo avanti significativo si è registrato invece su alcuni dei “temi caldi” del negoziato, come la tutela della denominazione di origine, particolarmente cara al comparto agricolo italiano, danneggiato dal cosiddetto italian-sounding, i servizi finanziari o l’energia». Infatti, le indicazioni geografiche dei prodotti alimentari, gli appalti pubblici e i servizi finanziari «sono stati spinti ai margini delle trattative per il TTIP», mentre, ha spiegato il negoziatore europeo Garcia Bernero, sul tavolo ci sono «proposte da ambedue le parti su tutti i settori che intendiamo coprire in questo negoziato: cooperazione regolamentare, barriere tecniche al commercio, in termini di standard, certificazioni di conformità e misure sanitarie e fitosanitarie: in altre parole, sicurezza alimentare e salute animale e vegetale». Ora, le trattative si scontrano con difficoltà di vario genere, a partire dai tempi: all’inizio delle trattative, nel giugno 2013, si prevedeva di concludere l’accordo addirittura entro la fine del 2014, poi al massimo entro il 2015, anche perché il 2016 è l’anno delle elezioni presidenziali statunitensi e i negoziati rallenterebbero inevitabilmente, per riprendere non prima del 2017. Tra due anni, secondo gli analisti del Senato, «l’Ue si troverà con ogni probabilità in una posizione negoziale ancor più difficile, a fronte della forte crescita economica degli Usa, dell’ulteriore accesso al mercato assicurato agli Stati Uniti dalla probabile conclusione del negoziato TPP (Trans-Pacific Partnership)». Il TPP da non confondere con il TTIP è un altro accordo di partenariato commerciale in corso di negoziazione tra gli US e dodici paesi extra UE , più precisamente: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam. Come ha spiegato il capo negoziatore degli Stati Uniti, l’Ambasciatore Michael Froman, il TPP ha maggiore spazio nel dibattito politico americano, in quanto i negoziati sono a un maggior stadio di maturazione, oltre che più vicini alla sensibilità dell’opinione pubblica.
Secondo Froman, l’amministrazione statunitense non avrebbe nessuna difficoltà ad accelerare anche sul negoziato TTIP, se percepisse analoga volontà da parte europea. In realtà questa volontà non è del tutto chiara ed è inficiata da divisioni e sensibilità politiche non sempre conciliabili tra USA e gli Stati membri. Tuttavia, al punto in cui si è arrivati, il massimo obiettivo che l’Ue potrebbe raggiungere è di sottoscrivere un accordo politico con gli Usa entro l’anno, rinviando la chiusura delle trattative al 2017. Tuttavia, anche questa accelerazione appare difficile e non priva di rischi. Infatti, scrive il Servizio affari internazionali del Senato, «l’accelerazione solo relativa del negoziato potrebbe provocare una perdita di fiducia da parte di alcuni Stati membri, visto che, per un periodo prolungato, si è pensato che l’accordo potesse essere perfezionato addirittura entro il 2014; d’altro canto, l’opportunità di chiudere il negoziato stesso, o comunque raggiungere un breakthrough politico, prima che la campagna elettorale Usa entri nel vivo, potrebbe impattare negativamente sulla qualità dell’intesa. Inoltre, la concentrazione della parte più viva e controversa del negoziato nell’arco di pochi mesi potrebbe imporre tempistiche poco congeniali ai processi di formazione del consenso nell’Ue a 28 – viste anche le sensibilità e priorità degli Stati membri, spesso molto diversificate – indebolendo ulteriormente la posizione dell’Ue rispetto a quella della controparte. È infine molto probabile che, a TPP concluso, gli Stati Uniti potranno negoziare da una posizione di maggior forza, facendo valere, oltre a una performance economica superiore, anche la presenza di potenziali sbocchi commerciali che rendono ben meno indispensabile il TTIP. Esiste pertanto la possibilità concreta che l’Ue si trovi costretta a un esercizio di flessibilità per concretizzare l’intesa, pena il rinvio dell’accordo alla successiva Amministrazione Usa, e quindi all’anno 2017, se non oltre».
Beniamino Bonardi – Il Fatto alimentare – 24 marzo 2015