«L’Italia è passata da uno stallo sulle riforme a un passo ottimale di riforme». L’analisi è del capo economista dell’Ocse, Catherine Mann, ed è sulla base di essa che l’organizzazione di Parigi ha confermato al rialzo le stime di crescita del nostro Pil: +0,6 per cento nel 2015 (era +0,2 a novembre) e +1,3 per cento nel 2016 (era l’1 per cento).
Tassi di crescita che potrebbero migliorare proprio per effetto delle riforme e avvicinarsi a quelli previsti dall’Ocse per l’eurozona: 1,4 per cento quest’anno e 2 per cento l’anno prossimo. L’Italia resta in coda per i ritardi strutturali accumulati negli ultimi decenni e che hanno lasciato la nostra economia più indifesa davanti alla profondità dei sette anni di crisi, durante la quale infatti abbiamo perso un sesto della nostra capacità produttiva e abbiamo visto saltare circa un milione di posti di lavoro. «Se metto in fila i fattori di oggettiva ripresa nel nostro Paese — ha spiegato Renzi tracciando alla Camera il bilancio sul semestre di presidenza italiana in Ue — quattro dipendono da scelta europee, uno solo dall’esterno: il piano Juncker, la comunicazione sulla flessibilità, il Quantitative easing della Bce, il ritrovato rapporto tra dollaro ed euro ». E ancora «C’è un cambiamento di vocabolario da rigore e austerity a crescita e riforme» Il recupero ai prospetta lento. «Una ripresa dello 0,2 per cento non è significativa », ha opportunamente osservato ieri il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi. I segnali, tuttavia, sono tutti verso una direzione positiva. «Si è aperta una finestra macroeconomica molto importante che sta dando frutti positivi», ha ripetuto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. E anche i dati comunicati ieri dall’Inps sul ricorso alla cassa integrazione nel mese di febbraio confermano l’uscita dalla recessione. Le aziende stanno cominciando a riassorbire la manodopera che avevano temporaneamente sospeso per il calo della domanda. Il mercato del lavoro, peraltro, è anche quello che risponde più in ritardo ad una eventuale accelerazione del Pil e comunque fino a che quest’ultimo non toccherà l’asticella del 2 per cento sarà difficile registrare un incremento degli occupati. Le stesse prospettive di crescita mondiale — secondo l’Ocse — sono ancora «troppo basse per ristabilire e attivare il mercato del lavoro». Bisognerà vedere poi quanto i processi di ristrutturazione realizzati dalle imprese italiane durante la crisi abbiano definito assetti aziendali in grado di cogliere con più rapidità i cambiamenti del mercato. In ogni caso, in un anno il ricorso alla cassa integrazione si è ridotto del 36,4 per cento anche se nel mese di febbraio c’è stato un incremento del 7,1 per cento rispetto a gennaio. Mese nel quale le domande per l’indennità di disoccupazione sono calate del 23,4 per cento. È crollata la cassa integrazione in deroga (-89 per cento a febbraio rispetto allo stesso mese dell’anno scorso), soprattutto per la mancanza dei relativi stanziamenti.
Sembra sbloccarsi anche il mercato del credito. Ieri l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha detto che «nei primi tre mesi dell’anno c’è più domanda di credito». E il ministro Padoan ha annunciato che in tempi rapidi arriverà la cosiddetta bad bank per la cessione dei crediti in sofferenza negli istituti bancari. Un contesto favorevole alla ripresa degli investimenti da parte delle imprese. Servono gli investimenti. Si legge nel rapporto dell’Ocse: «Aumentarli sarà un elemento chiave di ripresa ciclica nell’area euro, oltre ad essere necessario per spingere la produttività nel medio termine. Il piano Juncker — sostengono gli economisti di Parigi — offre un’importante occasione per catalizzare investimenti privati con il sostegno pubblico entro i vincoli di bilancio attuali».
Repubblica – 19 marzo 2015