Nonostante il terzo anno consecutivo di recessione (Pil -0,4% nei 12 mesi) l’indebitamento netto non ha superato il 3%. Un calo del Pil pari allo 0,4%, un indebitamento netto pari al 3% del prodotto, un saldo primario ( al netto degli interessi) positivo e pari all’ 1,6% e uno stock del debito pubblico a quota 132,1 per cento. Sono i tratti salienti del 2014 che l’Istat ha consegnato ieri all’archivio, esplicitando tutti i dati validi ai fini del Trattato di Maastricht.
Alle nostre spalle c’è dunque un altro anno di recessione e il livello del Pil, pari nel 2014 a 1.616 miliardi e 48 milioni di euro ai prezzi di mercato , è tornato, in termini reali, sotto il livello del 2000. Tuttavia, oggi si può ragionare su questi numeri con minore preoccupazione, in quanto il motore della ripresa quest’anno dovrebbe finalmente mettersi in moto: secondo le ultime stime del Cer, il Centro europa ricerche, l’incremento di Pil conseguibile già quest’anno è pari a un +1 per cento, che dovrebbe salire a +1,2 per cento nel 2016.
La ripresa, secondo gli economisti del centro studi romano, è trainata dal contemporaneo rimbalzo delle componenti della domanda interna e delle esportazioni. Così la spesa per consumi finali delle famiglie, che nel 2014 secondo i dati diffusi Istat si è cresciuta di un modesto +0,3% quest’anno dovrebbe salire, secondo il Cer, dello 0,9%, mentre gli investimenti che lo scorso anno hanno subito una flessione del 3,3% quest’anno secondo le stime del Cer saliranno dell’1,8 % ( nonostante la prosecuzione della fase di flessione delle costruzioni) mentre l’export per effetto del mini- euro dovuto anche alla politica monetaria espansiva della Bce potrà aumentare del 3,8%.
Nei dati diffusi ieri dall’Istituto nazionale di statistica, che fanno capire come la possibilità di attestarsi al 3 per cento nel rapporto deficit-pil sia stata assicurata al nostro paese anche da un’ulteriore, sostanziosa, riduzione dell’onere per interessi (nel 2014 gli interessi passivi della Pa si sono ridotti del 3,8%, dopo la riduzione del 7,3% avvenuta nel 2013)c’è anche il dettaglio della dinamica delle entrate. Le entrate totali nel 2014 sono aumentate dello 0,6% rispetto all’anno precedente (nel 2013 l’incremento era stato dello 0,1%) e la loro incidenza è salita al 48,1%, mentre l’incidenza delle uscite della Pa, cresciute dello 0,8%, si è attestata al 51,1 per cento. Le entrate correnti, inoltre, sono cresciute dello 0,9%: in particolare, spiega l’Istat, sono aumentate del 3,3% le imposte indirette, per effetto soprattutto dell’incremento del gettito dell’Iva e dell’introduzione della tassa sui servizi indivisibili (Tasi). Invece, le imposte dirette lo scorso anno sono diminuite dello 0,9%, per effetto della marcata riduzione dell’Ires, in parte compensata dalla moderata crescita delle imposte sostitutive.
L’Istituto di statistica, seguendo i principi e metodi di contabilità nazionale utilizzati a livello europeo calcola poi che, tutto compreso, la pressione fiscale complessiva (imposte dirette, indirette, in conto capitale e contributi sociali in rapporto al Pil) sia stata pari al 43,5 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al 2013 quando si era attestata al 43,4 per cento.
Secondo il Tesoro, tuttavia, per effetto della restituzione del bonus da ottanta euro avvenuta nello scorso mese di maggio la pressione fiscale effettiva nel 2014 si sarebbe ridotta, rispetto all’anno prima, scendendo al 43,1 per cento. «L’intervento del Governo è stato formulato in modo semplice e chiaro – puntualizza il Mef – uguale per tutti i lavoratori con retribuzione non superiore a una soglia predeterminata: un bonus di 80 euro che riduce il peso dell’Irpef e aumenta il netto in busta paga. Tuttavia, proprio in virtù di questa formulazione non progressiva ma chiara e semplice, le misure statistiche non classificano l’intervento come una riduzione del peso fiscale ma come spesa sociale». La pressione fiscale risulterebbe invece in calo di 0,3 punti «leggendo la misura in termini di effetto concreto per la retribuzione del lavoratore interessato», cioè tenendo conto della riduzione del cuneo fiscale.
Il Sole 24 Ore – 3 marzo 2015