Michele Bocci. Sveglia alle sei per il prelievo del sangue, pranzo a mezzogiorno e cena alle 18. Alle 20, luci spente e tutti a dormire. Ed è andata bene se i parenti sono rimasti tutto il pomeriggio, e non un paio d’ore come previsto in certi reparti. Oggi come quaranta o cinquant’anni fa, gli ospedali italiani sono organizzati come fossero caserme.
Si potrebbe pensare che la rigida disciplina, con orari anticipati di almeno un paio d’ore rispetto al normale, abbia a che fare con la salute del paziente. Non è vero: i ritmi sono più che altro legati ad esigenze organizzative, a questioni di turni dei lavoratori. Vari studi scientifici hanno dimostrato i danni provocati ai malati dagli orari, e anche nel nostro Paese è nato un movimento eterogeneo di società scientifiche, ma anche aziende sanitarie o singoli primari, che propongono di cambiarli.
«Sa quali sono le tre cose di cui si lamentano di più la maggior parte dei ricoverati in Italia? Che mangiano male, non dormono e non vanno al bagno». Nicola Montano dirige una medicina interna del Sacco di Milano e si augura che medici, infermieri e assistenti sanitari ripensino insieme il sistema dell’accoglienza. Del resto per molti ricoverati la sveglia suona alle sei perché a quell’ora dei prelievi e della consegna dei farmaci si occupano gli infermieri della notte, che smontano alle sette, e non i colleghi che iniziano a lavorare la mattina, gravati da altri impegni. Stessa cosa vale per gli orari del pasto, legati ai turni di chi distribuisce il cibo. «Bisognerebbe riorganizzare gli ospedali a misura dei pazienti, rispettando la loro fisiologia. Altrimenti finisce che oltre a soffrire di una determinata malattia, devono affrontare gli effetti pesanti dell’alterazione dei ritmi di vita».
Di recente negli ospedali statunitensi è partita una campagna incentrata soprattutto sulla qualità del sonno. Non deve essere interrotto durante la notte e neanche la mattina presto, pena un peggioramento delle condizioni dell’assistito. Se i pazienti dormono regolarmente, senza risvegli dovuti a luci accese e rumori vari nel reparto oppure a terapie che possono essere rinviate, il loro benessere aumenta. Più di uno studio scientifico ha dimostrato che la privazione del sonno o l’interruzione del ritmo sonno-veglia sono fattori che provocano danni alla salute, addirittura un quarto dei ricoverati anziani vanno incontro al “delirium”, che è uno stato di confusione mentale acuta, se non riposano bene e in modo regolare.
Niccolò Marchionni è professore di geriatria all’Università di Firenze e presidente della società di cardiologia geriatrica. Da sempre lavora per migliorare l’accoglienza dei pazienti. Nei suoi reparti di degenza ordinaria e terapia intensiva a Careggi l’orario di visita dura 12 ore, da mezzogiorno a mezzanotte. «Abbiamo anche pubblicato uno studio per dimostrare come la presenza di parenti e amici non mette a rischio i malati ma fa bene. Purtroppo nel nostro Paese ci sono ancora tanti reparti aperti ai visitatori poche ore. Lavoriamo anche sui pasti. Per chi non ha problemi particolari, intanto, teniamo in caldo i vassoi della cena e li facciamo consumare anche alle 20. E poi abbiamo abolito l’usanza barbara di far mangiare a letto anche chi si può alzare. Non ci dimentichiamo che i nostri sono luoghi di cura dove, per assurdo, tanti anziani sviluppano problemi di denutrizione, anche a causa degli orari e del modo in cui vengono consumati i pasti».
Una visione di insieme la dà Francesco Ripa di Meana, che guida la Fiaso, la federazione delle Asl. «Varie aziende sanitarie e ospedaliere si stanno muovendo verso l’umanizzazione dell’assistenza, migliorando l’accoglienza. Ma per intervenire sui ritmi delle mense o sulla diversificazione dei menu ci vogliono risorse, e purtroppo siamo in un periodo di tagli orizzontali. Bisogna comunque ricordare che non stiamo parlando di alberghi. Determinati orari devono esistere, perché sono dettati dai tempi di altri servizi, come ad esempio dei laboratori di analisi». È vero, non si parla di alberghi, ma tra queste strutture e le caserme esistono vie di mezzo.
Repubblica – 23 febbraio 2015