Per la vecchiaia tetto a 65 o 66 anni e 3 mesi. Si potrà rimanere al lavoro fino a 70 anni per arrivare ai minimi contributivi. Favorire il ricambio generazionale e il ringiovanimento del personale delle pubbliche amministrazioni. Questo è l’intento degli ultimi interventi normativi spiegati nella circolare n. 2 della Funzione pubblica di giovedì scorso.
Dopo anni di austerity e di turn-over molto limitato, il governo Renzi prova a svecchiare i pubblici dipendenti prevedendo la risoluzione unilaterale nei confronti dei lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia e lasciando invariato il limite ordinamentale per quei lavoratori che hanno raggiunto le elevate anzianità contributive.
La prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i 65 anni (oppure oltre i 66 anni 3 mesi) sarà consentito esclusivamente per garantire all’interessato di maturare i requisiti contributivi minimi (20 anni) per la pensione non oltre il raggiungimento del 70esimo anno di età. Tale limite è soggetto agli adeguamenti legati alla speranza di vita.
L’analisi della situazione dovrà riguardare tutta l’anzianità contributiva accreditata in favore del lavoratore e non solo quella in essere presso l’ex Inpdap. In presenza di contribuzioni in più enti, il lavoratore potrà ricorrere alla totalizzazione o al cumulo contributivo, istituti che consentono – senza onere – di valorizzare tutte le anzianità. Nel caso in cui dalla prosecuzione del rapporto di lavoro, l’assicurato non dovesse perfezionare l’anzianità contributiva minima l’amministrazione dovrà risolvere il rapporto di lavoro al raggiungimento del limite ordinamentale.
Per i dirigenti medici responsabili di struttura complessa, gli enti non potranno procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro se questi chiederanno di permanere in servizio oltre i 65 anni per raggiungere i 40 anni di servizio effettivo e comunque non oltre il 70esimo anno di età. Gli altri dirigenti medici potranno essere collocati a riposo d’ufficio al compimento del 65esimo anno di età se, a tale data, avranno perfezionato anche i requisiti per la pensione anticipata. Di conseguenza, l’eventuale trattenimento in servizio potrebbe non essere accolto.
Le amministrazioni potranno risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che perfezioneranno i requisiti vigenti tempo per tempo per il conseguimento della pensione anticipata (41 ani 6 mesi per le donne, 42 anni 6 mesi per gli uomini). Tuttavia su tale punto la circolare pone dei limiti. Con la legge di stabilità 2015 (la 190/2014) sono state disapplicate – fino al 31 dicembre 2017 – le penalità, sulle quote retributive, legate alla pensione anticipata qualora l’accesso avvenga a età inferiori a 62 anni. Pertanto tali lavoratori potranno lasciare l’impiego anche a età inferiori senza subire alcuna decurtazione dell’importo pensionistico. L’ente, tuttavia, non potrà risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro prima dei 62 anni. In pratica un ringiovanimento a metà.
Rimane fermo il requisito contributivo di 40 anni nei confronti di quei soggetti che alla data del 31 dicembre 2011 avevano perfezionato la quota 96, con almeno 60 anni di età, 35 anni di contributi oltre ai resti utili a perfezionare la quota.
Il Sole 24 Ore – 21 febbraio 2015