in via esclusiva la casa di cura al risarcimento dei danni per le lesioni personali patite dalla paziente a causa di un’infezione post operatoria: nessuna responsabilità per il chirurgo. Lo ha deciso la Tredicesima sezione del Tribunale di Roma, con la sentenza 23621/2014. La pronuncia risponde così a una richiesta di risarcimento in solido.
Il giudice della capitale, con l’ausilio di una consulenza medico legale, ha ricostruito in modo univoco l’operazione, il contenuto delle prescrizioni mediche immediatamente successive ed il profilarsi dell’insorgenza dell’infezione che ha poi comportato per la paziente una malattia tale da pregiudicare l’integrità del fisico della paziente. È stato infatti accertato come, aseguitodiuninterventoad un menisco, la paziente abbia poi patito un’infezione, nella medesima area del ginocchio interessata dall’operazione. Tanto che, correttamente, il giudice ha rilevato come l’oggetto del contenzioso fosse quello di «accertare la riconducibilitàomeno, dell’infezioneal ginocchio sinistro all’intervento eseguito in Clinica».
L’esame specifico della natura dell’infezione ha consentito di individuare nel «liquido presente nel ginocchio la presenza di alcune colonie di pseudomonas aeruginosa, mentre i controlli successivi sono risultati negativi per la presenza di batteri aerobi ed anaerobi».
La specificità dell’agente infettivo porta il Tribunale ad osservare che, avendo il sanitario introdotto una specifica terapia antibiotica a finediprofilassi(proseguitapertre giorni dopo le dimissioni), non appare possibile ipotizzare un rimproveroneiconfrontidelsanitario. Quest’ultimo, infatti, pur attuando un intervento di chirurgia “minore”,hapostoinesserequantogliera richiesto dall’arte medica.
Diversa è la ricostruzione della responsabilità in capo alla casa di cura, che doveva provare la «sterilizzazione della strumentazione utilizzata per l’intervento e quella delle camere operatorie» ma di fatto non ha ottemperato con correttezza al proprio obbligo contrattuale. Rilevainfattiilgiudicante come non sia stato prodotto il registro di camera operatoria «dove doveva essere annotata sia la tipologia degli strumenti utilizzati per ogni singolo intervento con le specifiche di sterilizzazione né risulta in alcun modo provato che siano stati effettuati, e con quale periodicità, gli interventi diretti ad assicurare la sterilità della sala operatoria».
L’inadeguatezza della prova documentaleportaanonconsiderare soddisfatto l’onere della clinica, di aver correttamente adempiuto con la diligenza richiesta dalla norma. Al contrario, «in presenza di una situazione nella quale il rischio infezione era comunque elevato», la clinica non ha provato di aver realizzato «tutti quegli interventi per la prevenzione delle infezioni, specificamente indicati nei piani per la sicurezza dei prodotti, depositati dalla medesima». Doveroso è quindiaccertarelasuasolaresponsabilità, per i danni patiti dalla paziente a seguito dell’insorgere dell’infezione post operatoria.
Il Sole 24 Ore – 19 febbraio 2015