Alpeggi nuovamente vietati al pascolo di terzi. Con la sentenza n. 00802/2015 il Tar Lazio, infatti, ha ripristinato l’efficacia della circolare AGEA dell’11 ottobre 2013 che stabiliva, a partire dalla Domanda Unica presentata per la campagna 2014, l’impossibilità del pascolamento da parte di terzi ai fini dell’ammissibilità delle superfici dichiarate a pascolo magro.
Il Tar riapre la guerra degli alpeggi
Maurizio Tropeano. Una sentenza del Tar del Lazio riapre la guerra per l’oro verde, l’erba dei pascoli di montagna. I giudici amministrativi hanno nuovamente vietato il pascolo ai terzi e l’Agea ha inviato una circolare a tutte le sedi regionali dove annuncia la sospensione dei pagamenti del 2014 per chi aveva dichiarato nella domanda unica il pascolamento da parte di terzi. Dai primi calcoli parziali solo per il Veneto sono in gioco oltre 25 milioni. E potrebbe andare peggio se la sentenza venisse applicata in modo retroattivo con la richiesta di restituzioni dei premi concessi dopo l’ottobre 2013. Fabiano Barbisan, presidente Consorzio L’Italia Zootecnica Scarl ha scritto al ministero chiedendo un intervento chiarificatore.
Che cosa è successo? Fino alla sentenza del Tar il sistema prevedeva come unico vincolo che il terreno fosse pascolato da ovini, bovini o altre specie la cui proprietà è indipendente da chi ha richiesto il premio su quella superficie. Una prassi che ha permesso la sopravvivenza di tanti piccoli allevatori. Una consuetudine che ha anche portato ad una sorta di speculazione legalizzata con grandi aziende del Nord Est che nel corso degli anni hanno iniziato a prendere in affitto terreni pubblici o privati sull’arco alpino ma anche nelle Marche per l’allevamento ma soprattutto per beneficiare dei contributi dell’Ue.
Secondo la Regione Piemonte che ha cercato di mettere dei paletti all’uso dei pascoli di montagna con la semplice manutenzione del terreno si possono guadagnare fino a 250/300 mila euro l’anno.
«Ancora una volta – denuncia Ercole Zuccaro, direttore di Confagricoltura Torino – importanti questioni che riguardano l’agricoltura sono gestite in maniera caotica senza garantire la necessaria certezza legislativa normativa agli operatori del settore». Sebastiano Villosio, allevatore del basso Canavese, lancia l’allarme: «Il problema è che la sentenza non mette in discussione solo i contributi 2014 ma anche quelli per i prossimi cinque anni. Se qualcuno ha fatto il furbo deve essere punito ma è sbagliato fare di ogni erba un fascio».
La Stampa – 15 febbraio 2015