Il certificato di presenza in ospedale che occorre portare al datore di lavoro per giustificare un’assenza non deve riportare né il reparto in cui il paziente si è recato, né la specializzazione del medico che attesta la presenza. Se le riportasse, violerebbe la normativa sulla privacy.
Ciò vale indipendentemente dal fatto che il lavoratore fosse lui stesso il paziente oppure accompagnasse una persona che per legge ha diritto a farsi assistere da lui. Lo ha precisato il Garante della privacy in un’istruttoria avviata nei confronti di un policlinico segnalato da un paziente proprio per il fatto che il certificato rilasciato riportava indicazioni che potenzialmente sono idonee a svelare lo stato di salute dell’interessato.
L’istruttoria si è chiusa subito, perché il direttore sanitario del policlinico ha rimediato all’errore, diramando immediatamente a tutto il personale sanitario una nuova modulistica – priva dell’indicazione del reparto ove si è recato il paziente- e precise raccomandazioni per mettersi in regola con le disposizioni dettate dal Garante. In sostanza, le attestazioni devono essere di carattere generico perché l’unico dato rilevante ai fini del datore è la presenza della persona in un dato ospedale in un certo orario.
Un principio che il Garante desume dal proprio provvedimento generale sul rispetto della dignità nelle strutture sanitarie, emanato il 9 novembre 2005: alla lettera g) del paragrafo 3, vi si afferma che occorre «prevenire che soggetti estranei possano evincere in modo esplicito l’esistenza di uno stato di salute del paziente attraverso la semplice correlazione tra la sua identità e l’indicazione della struttura o del reparto presso cui si è recato o è stato ricoverato» e che «tali cautele devono essere orientate anche alle eventuali certificazioni richieste per fini amministrativi non correlati a quelli di cura», tra cui le “giustifiche” per assenze dal lavoro o da concorsi pubblici.
Analogamente, nel 2007, era stato richiamato un ospedale che aveva inviato un referto a casa di un paziente con l’indicazione del reparto. Più di recente, nel 2013, il Garante ha stabilito che la riservatezza va garantita anche nelle consegne a domicilio di presìdi sanitari. E il 14 novembre 2014 il Garante ha scritto una lettera alla Fimmg (la federazione dei medici di base) per puntualizzare che le ricette possono essere lasciate presso gli studi medici o le farmacie, purché in busta chiusa.
Restando in materia di riservatezza sulla salute del lavoratore, il Garante ha emanato linee guida il 13 dicembre 2006: i dati sanitari vanno conservati in fascicoli separati e il certificato di malattia non deve riportare la diagnosi, ma la sola indicazione di inizio e durata presunta. Inoltre, il datore non può accedere alle cartelle sanitarie dei dipendenti sottoposti ad accertamenti dal medico del lavoro e, in caso di denuncia di infortuni o malattie professionali all’Inail, deve limitarsi a comunicare le informazioni connesse alla patologia denunciata.
Il Sole 24 Ore – 10 febbraio 2015