Gabriele Beccaria. Gli scienziati? In genere fuori di testa. La gente? Spesso ignorante. Ecco un magnifico punto di partenza, pressoché universale, per una lite perfetta a cui pochi si sottraggono.
Se di stereotipi si vive (e si muore), a riportarli in scena è l’ultima ricerca sui rapporti tra ricercatori e opinione pubblica: l’ha realizzata il Pew Research Center (leader nei sondaggi) e l’American Association for the Advancement of Science (la maggiore società scientifica al mondo). Prende come spunto una questione su cui tutti siamo convinti di avere un’opinione e poi, scavando nei pensieri di tanti americani, porta alla luce una serie di problemi. Con un effetto a sorpresa: non c’è «happy ending». Il finale resta aperto, sospeso in una nuvola di interrogativi. Chi è convinto che esista la ricetta per placare la grande lite dovrà ricredersi: scienza e società sono destinate a una tempestosa convivenza. La loro è – e resterà – una «story» di attrazione e repulsione. Un rovente intreccio d’amore e d’odio.
Aree controverse
L’ingresso in questo labirinto è rappresentato da 13 aree controverse. In ciascuna le idee degli scienziati e le idee dei non-scienziati brillano per scarsa compatibilità. L’88% degli studiosi pensa che i cibi Ogm siano sicuri, mentre solo il 37% del pubblico lo crede. Sull’indispensabilità dei vaccini si è all’86% contro il 68%, mentre sulle colpe umane nei cambiamenti climatici si è all’87% contro il 50% e sulla fondatezza dell’evoluzionismo al 98% contro il 65%. E sui pericoli del boom dell’umanità ci si divide 82% contro 59%, mentre sulla necessità dei test animali 89% contro 47%.
«Siamo rimasti sorpresi dall’entità di queste differenze d’opinione e da quanto spesso si verifichino», è stata la considerazione di Cary Funk, primo autore del «report». Che, a proposito di balzi sulla sedia, non ha commentato il fatto che il 2% degli scienziati del campione abbia dei dubbi su Darwin. Ma a questo punto si è già entrati nel labirinto delle interpretazioni.
Lo studio riconosce che per ogni articolo scientifico ne venga generato un altro – non scientifico – che, a seconda dei casi, lo contesta, lo deride, lo calunnia. La pseudoscienza non è mai stata così in forma come nell’America del XXI secolo, favorita – anche questa è una sorpresa – da un doppio equivoco: la facilità con cui attingere informazioni dalla Rete (giustificando qualsiasi idea, anche la più assurda) e la natura pubblica delle discussioni tra scienziati (inducendo molti a vedere le loro discipline come un’opinabile finzione).
Così, se la mente dei ricercatori è modellata sul confronto delle ipotesi, sulla verifica dei dati e sull’eliminazione di ciò che si rivela sbagliato, il pubblico tende invece a preferire l’alternativa secca. O sì o no. E approfitta delle controversie di laboratorio per ritenere che la scienza sia, comunque, dalla sua parte: il sondaggio evidenzia che per il 37% del campione gli studiosi sono in grave disaccordo sulle cause del riscaldamento globale e che per il 67% non hanno le idee chiare sugli Ogm.
«È come quando le nazioni in guerra credono che Dio sia con ognuna di loro», ha commentato Dan Kahan, professore di legge alla Yale University. Conclusione: si tende a dare fiducia a chi già la pensa come noi. E in questo processo di autoinganno il mondo virtuale è il terreno di coltura ideale per i pregiudizi più scatenati. Anche quelli su una scienza «liquida», che sarebbe incapace di elaborare prove definitive.
Un caso-studio l’ha fornito Eula Biss, professore di inglese alla Northwestern University e autore di «On Immunity», saggio dedicato alle paure intorno ai vaccini. Le questioni – sostiene – sono talmente sovrabbondanti e specialistiche (al di là della salute dei bambini e delle pandemie) da far scontrare gli individui con i modelli della complessità cari ai fisici: sono così vertiginosamente difficili che è più semplice far cortocircuitare i concetti, intrecciando frammenti di verità con frammenti di pregiudizio (senza dimenticare che un episodio personale, accaduto a un amico, può avere un potere di convincimento più forte di qualsiasi dato).
Psicologia e ideologie
Si è quindi in pieno labirinto. Tra scienza e società c’è in gioco molto più della «scientific literacy», la cultura scientifica che dovrebbe alimentarsi con una divulgazione di buon livello. Ci sono interi mondi psicologici, ideologici e religiosi. L’evoluzionismo, per esempio, terremota la moralità standard e la stessa Bibbia, mentre le verità sui cambiamenti climatici incrinano le logiche dell’individualismo e del libero mercato.
Lo studio mette quindi in luce il pessimismo dei ricercatori: per l’84% «la gente non sa molto di scienza», ma ancora di più sono quelli che dimenticano che numeri e modelli non sono tutto: c’è emozione e c’è filosofia dietro ogni zuffa scienza-società. Lo sottolinea Alan Leshner, ad dell’Aaas: «La scienza riguarda i fatti, la scienza non tocca i valori. La politica, invece, si fonda sia sui fatti sia sui valori. Vogliamo quindi essere sicuri che fatti accurati, non distorti, siano portati in primo piano nella discussione pubblica».
Bisogna essere pronti ad affrontare continue contraddizioni. Se molti sono sospettosi di fronte ai risultati della ricerca, il 79% delle persone pensa (è l’ennesima sorpresa) che la scienza ci abbia migliorato la vita, con effetti positivi su sanità, alimentazione e ambiente. È una buona notizia per i camici bianchi, che comunque vedono nero: appena il 52% ritiene che questi siano tempi favorevoli per le loro discipline. Colpa – sostengono – dei tagli ai finanziamenti e di incomprensioni sempre più tenaci.
La Stampa – 4 febbraio 2015