Si è concluso con l’assoluzione con formula piena il processo a carico di Alessandro Salvelli, da inizio anno direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 22 di Bussolengo, per la vicenda legata alla presenza di diossina nelle anguille del Garda. Il dibattimento ha dimostrato che Salvelli, chiamato in causa come direttore del servizio veterinario dell’azienda sanitaria, non ebbe alcuna responsabilità nel ritardo con cui fu dato l’allarme ma che, anzi, sollecitò le analisi e fece tutto quanto era in suo potere.
Già all’epoca dei fatti il Sivemp Veneto, nel riportare la notizia dell’indagine, aveva espresso la ferma convinzione che Salvelli avrebbe saputo dimostrare la propria totale estraneità alle accuse, nella certezza che egli avesse agito nel pieno rispetto delle regole, in una situazione peraltro di grande complessità. Ora accogliamo con soddisfazione la decisione del tribunale di Verona che riconosce la piena correttezza dell’operato del collega (Roberto Poggiani, segretario regionale Sivemp Veneto)
Da L’Arena del 24 gennaio. Nel 2008 l’esito delle analisi che rivelavano la presenza di diossina e il superamento dei cosiddetti “livelli d’azione” era noto e solo nel 2011 si arrivò al provvedimento del Ministero che ordinava alle tre province che hanno competenza sul Garda di bloccare la pesca e la vendita di anguille perché il livello di diossina aveva superato i limiti. Ma di quel ritardo non fu responsabile il dirigente veterinario dell’Ulss 22, che ieri è stato assolto. «Di fronte ad un’emergenza ambientale ci si trovò di fronte a inerzia e immobilismo», ha insistito ieri il pm Valeria Ardito che per il medico aveva chiesto la condanna a otto mesi. E Legambiente (parte civile con l’avvocato Luca Tirapelle) aveva chiesto il risarcimento del danno. «Il dottor Alessandro Salvelli comunicò, si impegnò a fare controlli che poi non vennero eseguiti, e una volta che furono effettuati mandò comunicazioni senza però attivarsi». Questa latesi della procura che contestava al dirigente di avere omesso di compiere un atto tempestivo del proprio ufficio.
Un’accusa che nel tardo pomeriggio è caduta: il collegio presieduto da Marzio Bruno Guidorizzi ha assolto il medico (difesa Francesco Delaini e Giovanni Biondaro) ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova che non agì tempestivamente e che non informò gli enti interessati affinchè verifìcassero. Assolto, così come avevano chiesto le difese, che in arringa hanno sostenuto come non fosse addebitabile a Salvelli alcun comportamento.
«I dati certi? Nel giugno 2008 si svolge una riunione in Provincia nel corso della quale si da atto che sulla base di analisi dell’Istituto di Padova, nelle aguglie, nel coregone e nel persico è stato riscontrato un aumento di diossina», ha esordito Delaini. «Non è vero che Salvelli non fa nulla: manda una lettera in Regione e allega il verbale, in agosto la Provincia manda una serie di esami volti a rilevare i livelli di contaminazione delle diossina. Salvelli in settembre fa rilevare che non sono trascurabili. Se vogliamo parlare di omissione si può fare tenendo conto che in quella missiva non ha evidenziato che non vi era denaro per fare le analisi». Ma aveva sollecitato, e una dopo l’altra sono state prodotte le lettere, le comunicazioni, le richieste di autorizzazione ad effettuare campionamenti sulle acque del Garda sollevando il problema dei costi. «Nessuno manda soldi, servivano 700/1.000 euro a campione», ha proseguito il legale, «il Ministero ha speso decine di migliaia di euro. E nel gennaio 2011 Salvelli scrive che ci sono problemi di diossina nelle anguille. E sollecita a fare e a prendere provvedimenti». Furono eseguite le analisi, poi in maggio di quell’anno il Ministero ordinò alle Province di sospendere la pesca e di vietare la vendita delle anguille. E il dirigente aveva fatto ciò che era in suo potere. Senza responsabilità.
24 gennaio 2015