Popolari venete addio. Sono bastate due ore e un decreto legge, ieri, al governo Renzi per far calare come un ciclone la riforma sulle banche popolari. Facendo saltare d’un colpo gli equilibri cristallizzati delle banche caratterizzate dal principio «una testa un voto». Panorama sconvolto anche in Veneto. Perché se la riforma non tocca la rete delle 30 Bcc, include invece le tre grandi popolari vigilate dalla Bce: Banco Popolare, Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Se la soglia fissata per trasformarsi in spa entro 18 mesi è quella degli 8 miliardi di attivo totale, i tre istituti la superano ampiamente: 125,9 i miliardi del Banco Popolare guidato da Carlo Fratta Pasini al 30 settembre 2014, 46,1 quelli della Banca popolare di Vicenza di Gianni Zonin e 37,9 quelli della Veneto Banca di Francesco Favotto, al 30 giugno 2014. Una soglia da cui resterà fuori, per un soffio, in prospettiva, la popolare che nascerà dalla fusione tra Marostica e Volksbank, che insieme arrivano a 7,8 miliardi.
E intanto, di fronte al silenzio disorientato del credito e della politica, la domanda è già su cosa succederà adesso. Perché la trasformazione in spa apre le banche all’ingresso di soci di capitale, e al rafforzamento patrimoniale, rimettendo in moto le fusioni, rompendo equilibri consolidati. «Lo scopo della riforma è chiaramente di rendere le banche scalabili. Si tratta di vedere se ci riuscirà: non è così scontato», afferma Massimo Malvestio, l’avvocato d’affari esperto delle popolari venete che ha lanciato il tema dell’incostituzionalità della riforma. «Si tratta di vedere se i soci asseconderanno o meno la riforma e diranno sì alla trasformazione in spa. E se lo faranno anche i cda o si opporranno: ci sono ampi spazi d’impugnativa amministrativa e costituzionale. E se le due posizioni coincideranno». Certo, la riforma riapre intanto l’interesse sulle banche popolari e sulle loro azioni. Risultato interessante per i soci, in primis di un istituto quotato come il Banco Popolare, che in due giorni ha guadagnato il 14,4%, da 9,6 a 10,99 euro. E ha riaperto il nodo del prezzo delle azioni delle due popolari non quotate, Vicenza (62,5 euro) e Montebelluna (39), molto sopravalutati rispetto a quelli delle banche quotate; ponendo il tema di a quale prezzo potrebbero avviarsi progetti di fusione, pur se il rilancio dei prezzi delle quotate riduce la forbice.
E se Renato Brunetta (Forza Italia) critica «l’urgenza imposta dal governo su una materia complessa che richiedeva spazi di discussione», il Carroccio ha deciso di farsi partecipe delle preoccupazioni di alcuni azionisti. Dopo le ire di Matteo Salvini è stato il turno del governatore Luca Zaia che ha definito il pacchetto bancario dell’Investment Compact «una vergogna». «Con l’abrogazione del voto capitario si chiudono le banche mutualistiche che aiutano le nostre imprese e le nostre famiglie». A sentire Matteo Renzi naturalmente la faccenda è capovolta. «Troppe banche significa costi più alti di gestione, minor patrimonializzazione e meno credito diretto alle imprese». Di contro con la riforma saranno più facili le aggregazioni e questo dovrebbe permettere di liberare credito per le imprese. Si vedrà.
Di certo c’è l’imbarazzo dei rappresentati di categorie che fanno gli interessi delle imprese ma siedono quasi tutti nei cda delle banche e soprattutto c’è l’imbarazzo dei democratici che uno a uno hanno declinato l’invito a commentare la riforma. È facile capirli: non è periodo per andare contro Renzi (il centrodestra qui ha gioco più facile per ovvi motivi) e nessuno nel centrosinistra vuole attirarsi le ire del mondo bancario veneto che ha sempre avuto un certo peso in campagna elettorale. «Non vedo questa riforma come scandalosa – interviene come unica voce la senatrice Pd Laura Puppato che è anche una piccola azionista di Veneto Banca -. In fondo il sistema una testa un voto è sempre stata molto teorico. La gestione bancaria è un tema complesso e il 99% dei soci si è sempre dovuto fidare ciecamente delle indicazioni del consiglio di amministrazione quindi il voto è sempre stato pilotato. Un po’ come accade tutti i giorni nel Movimento 5 Stelle…». Battute a parte Puppato ricorda che questa riforma è stata richiesta dall’Europa che continua a insistere sul rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito.
Intanto però la riforma preoccupa il sindacato. «Questa accelerazione scompagina le carte e rischia di essere più dannosa che virtuosa per i lavoratori», dice Massimiliano Paglini della Cisl. (Corriere del Veneto)
Via al decreto in Cdm. Le prime 10 banche popolari si trasformeranno in Spa ma è scontro nel governo
Via al decreto, Lupi contesta la riforma. Il premier: “Troppi banchieri e pochi prestiti”. Padoan: “Così si rafforza il sistema creditizio”
«E’ una giornata storica, perché dopo 20 anni di dibattito interveniamo attraverso un decreto legge sulle banche popolari». E’ Matteo Renzi ad annunciare, subito dopo il consiglio dei ministri, il primo articolo dell’Investment compact. Quello che cancella il voto capitario (una testa un voto, a prescindere dal numero di azioni detenute) nelle banche popolari. Non il mondo del credito cooperativo delle Bcc, come ha chiarito lo stesso premier su Twitter, e nemmeno tutte le popolari: solo quelle che hanno un attivo superiore a 8 miliardi di euro, che avranno 18 mesi di tempo per recepire le novità legislative e trasformarsi in spa. «Abbiamo troppi banchieri e facciamo poco credito», ha ripetuto ieri.
E’ stata fatta «una scelta quantitativa, che concilia la necessità di dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il paese», ha spiegato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Ed ha aggiunto: «Andranno valutati in futuro altri suggerimenti di modifica della governance ». Insomma: «Gradualità, ma indirizzo chiaro». Il provvedimento attuale riguarda – come ha detto Renzi – dieci banche: dunque le sette popolari quotate, più Veneto banca e Popolare di Vicenza (entrambe grandi abbastanza da essere passate sotto il controllo della Bce) e la Popolare di Bari. Secondo Padoan la riforma favorirà «un processo di consolidamento di mercato dopo la crisi e il passaggio al regime regolatorio di supervisione europeo» (la Bce sembra aver caldeggiato la riforma delle popolari).
Ma il percorso di riforma non è stato semplice e non lo sarà in Parlamento: non solo si sono scagliati contro i rappresentanti di Forza Italia e Movimento 5 stelle, ma all’interno dello stesso governo il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha assunto una posizione decisamente critica. Lupi ha contestato la scelta del provvedimento d’urgenza del decreto, ha sottolineato la necessità di non distruggere i rapporti con il territorio e le Pmi, e infine ha chiesto perché non discuterne in Parlamento. E proprio in Parlamento, dove ragionevolmente ci sarà battaglia sulla conversione del decreto legge, il Nuovo Centro Destra a quanto pare si vuole tenere le mani libere.
Di sicuro è una riforma che va nella direzione di quanto auspicato più volte dall’Fmi e da anni chiesta da Bankitalia, per quanto ieri mattina il governatore Ignazio Visco all’uscita dell’incontro all’Abi ha detto «Non ho nessuna idea, non lo so», rispondendo alle domande (la riforma è stata varata nel pomeriggio). Padoan dal canto suo ha spiegato che «sicuramente, come sempre in passato quando il ministero » si occupa di questioni bancarie «ascolta i consigli che vengono anche dalla Banca d’Italia e anche in questo caso c’è stata condivisione ».
Negli obiettivi del governo questa riforma dovrebbe avvicinare il credito soprattutto alle Pmi: quelle che, secondo i dati di Confcommercio- Cer avrebbero potuto sfruttare 97,2 miliardi di euro di credito che però non è stato erogato peggiorando le condizioni del tessuto imprenditoriale. (Repubblica)
21 gennaio 2015